Un Capodanno diverso immersi nel clima tropicale del Mar Cinese meridionale. Alla scoperta di un’isola poco conosciuta fuori dalla Cina, in cui si incrociano tradizione e libera rivisitazione dei nostri riti.

La sposina arrampicata sulla roccia, cerca di rivolgere uno sguardo ispirato verso l’orizzonte, mentre una raffica di flash schiarisce il tramonto. Dietro di lei, su altre rocce, altre sposine sorridono ai fotografi e tutta la scogliera pare illuminata dai lampi di un violento temporale. Sebbene appaia in equilibrio instabile, lo è molto meno di quanto sembri, grazie a un robusto paio di scarpe da jogging che fa capolino sotto il vestito nuziale quando si muove agilmente tra gli spuntoni. Un’altra sorpresa quando si gira: il suo fasciatissimo abito rosso, prestato dal fotografo ma evidentemente di taglia minuscola, è completamente aperto sulla schiena, i lembi della cerniera trattenuti a stento da vistose spille da balia.

In tante decidono di venirsi a sposare a Sanya sull’isola cinese di Hainan (Qiong), seconda per dimensioni dopo Formosa, ma unica località tropicale dove un miliardo e duecentomila cinesi possono godersi il mare nel senso che lo intendiamo noi. Ai loro occhi Hainan è calda, profumata, esotica. Pazienza se il profumo non è quello dei fiori, ma piuttosto quello che sprigiona dalle braci dei ristorantini, allineati lungo le spiagge e gremiti a ogni ora del giorno, su cui arrostiscono spiedini di ogni genere. I turisti cinesi sono affascinati dal mare, che spesso non hanno mai visto, ma in pochi sanno nuotare. Così una folla di bagnanti che indossa giubbetti salvagente, e che per maggiore sicurezza si infila anche in una ciambella gialla o rosa, sguazza rumorosamente nell’acqua profonda un metro, con cappello, occhiali scuri e soprattutto ombrellino parasole. Perché i cinesi detestano l’abbronzatura che, combinandosi con il colore della loro pelle, restituisce una sfumatura olivastra che fa più contadino che vacanziero.
Anche sulla spiaggia cercano di ripararsi sotto ombrelloni e ombrellini oppure il più vestiti possibile, con tanto di gonne, calze e stivali si avventurano fino sulla battigia. I più modaioli vestono completi simil-hawaiani coordinati, bermuda, camicia e cappellino, a disegni floreali. Che essendo di soli quattro colori differenti , rossi, gialli, verdi e blu, assicurano un effetto degno di una parata militare. Ricerca di glamour e pragmatismo un po’ ruspante sono gli ingredienti che animano Sanya, dove si replicano tutte le diavolerie che offre l’industria del divertimento nostrana in salsa orientale. Così si incrociano scie di moto d’acqua, su cui i turisti salgono solo con un istruttore, motoscafi, sci d’acqua, grandi rulli e paracadute al traino di motoscafi. Una vera passione sono gli aquiloni che una folla di vecchi e bambini fa volare altissimi con incredibile maestria, soprattutto nell’evitare inestricabili grovigli.
Dove non è affollata la spiaggia serve anche come pista da percorrere in moto e rickshaw, o a cavallo i più snob. Per altri è invece come un’immensa, economica carta da riempire tracciando con un bastoncino ideogrammi di versi, che i passanti si fermano a leggere prima che l’onda li cancelli. Un discorso a parte merita la scuola subacquea, la più grande al mondo, dove curiosi a malapena in grado di nuotare indossano per la prima volta mute, maschere ed erogatore, ricevono una mezz’oretta di infarinatura in gruppo e si avviano allineati verso l’imbarco su un motoscafo, che li scarica su una zattera galleggiante al largo. Rischi pochi, dato che in acqua ogni diver è accompagnato da un istruttore, che lo guida dalla rubinetteria della bombola, tenendolo al guinzaglio come un cane.

Quando scende la sera e i turisti giornalieri riprendono i loro bus, che rombano nei parcheggi appestando l’aria di fumi mefitici, le spiagge di Sanya assumono una dimensione più privata anche se non più raccolta. I ristorantini apparecchiano grandi tavoli rotondi, intorno a cui prendono posto allegri gruppi di amici e rumorose famiglie. In centro, su un largo piatto girevole, vengono appoggiate decine di pietanze diverse, di cui ognuno a turno si serve. I maxischermi rimandano immagini di pop star locali o d’importazione la cui musica si accavalla a quella di tradizionali piano bar. Le luci colorate che si arrampicano sui tronchi delle palme contribuiscono all’atmosfera di perenne festa. Alla fine della spiaggia di Dadonghai inizia “Little Russia” dove, tra scritte in caratteri cirillici e parodie di cupole, i menu propongono bortsch, solijanka e ucha annaffiate da litri di vodka e i negozi di souvenir vendono infima paccottiglia a prezzi stracciati.
Oltre a Dadonghai, Yalong Bay e Sanya Bay sono le altre spiagge di Sanya la cui lunghezza contribuisce a diluire la massa dei visitatori. Incuneati tra di esse due porti, molto caratteristici, gremiti di pescherecci colorati, impacchettati uno all’altro in bell’ordine. Anche lontano dalle spiagge, Sanya offre diversi spunti interessanti, come il Lu Huitou Park, una collina che svetta su Sanya, da cui la vista spazia sulla città e sul mar Cinese Meridionale. La statua sulla sommità racconta la leggenda di un cacciatore che inseguiva un cervo. Quando fu sul punto di raggiungerlo, il cervo si girò e si trasformò in una splendida ragazza, che il cacciatore sposò. Lu Huitou significa appunto “cervo che gira la testa”. Il punto più gettonato è il Posto dell’Eterno Amore, un centenario albero che protegge la statua di Yuela, specie di Cupido barbuto, ai cui rami o radici gli innamorati appendono nastri rossi con i loro nomi e una campanella. O un lucchetto, dato che la moda del Ponte Milvio e di Moccia si è diffusa anche a Sanya.

Altro punto che attrae folle di appassionati fotografi è Tianya Haijiao, che in cinese significa “Fine del mondo”, perché i cinesi tradizionalmente identificavano la loro patria con il mondo stesso. Si trova all’estremità di un capo, una ventina di km a sud di Sanya, dove tra sabbia bianchissima e mare turchese una natura bizzarra ha disseminato grandi monoliti, iscritti con ideogrammi in vernice rossa. Una di esse, la Colonna Sud, è perfino raffigurata sulla banconota da 2 yuan. Alla base del monte Nan Shan, su cui sorge l’omonimo centro buddhista, si incontra Da Xiao Ding Tian, (le Piccole e Grandi Grotte del Cielo), un popolarissimo paesaggio di pietre, alberi, dirupi e scogli affacciato sul mare, punteggiato di grotte che, secondo le leggende, erano abitate dagli Immortali.
Ma è nel periodo del Capodanno cinese, tra il 21 gennaio e il 20 febbraio , che l’isola si trasforma in un’incredibile, lunghissima festa. Da Haikou, la capitale, a Sanya stessa si accendono i palloncini rossi e le notti vengono squarciate da fuochi d’artificio, che illuminano a giorno le spiagge. In questo giorno i cinesi vogliono esprimere il ringraziamento per l’anno trascorso e l’auspicio di uno nuovo felice. Ringraziano i loro antenati per tutto ciò che hanno avuto di buono offrendo loro cibo a mezzanotte, quando brillano i petardi per spaventare e allontanare gli spiriti maligni. Per le strade si porta il drago di carta o di stoffa, animato da decine di persone a seconda della lunghezza, creatura benevola che simboleggia longevità e prosperità, mentre, poetiche, si staccano in volo centinaia di rosse lanterne Kong Ming, che disperdono nell’oscurità del cielo i desideri terreni.
Testo e foto di Federico Klausner
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