Aneme e Cozze

Anche Taranto ha il suo oro nero, ma profuma di mare. Le cozze sono l’eccellenza di un città da oltre mille anni capitale indiscussa del loro allevamento. Considerate dai gourmet le migliori al mondo.

Visto dall’alto potrebbe assomigliare a due grossi occhi, neri e lucidi. Visto da terra l’estensione nell’insenatura  del mar Ionio. Il “Mare Piccolo”, su cui si affaccia Taranto, è unito al “Mare Grande” da un lungo e stretto canale che la  divide in due. E’ qui che i “contadini del mare” con tanta passione e duro lavoro coltivano il prezioso fiore nero. Taranto è sempre stata una città legata al mare. Nel XIX secolo, quando due terzi della popolazione viveva grazie ai suoi frutti, i miticoltori ne costituivano la parte più attiva e organizzata, distribuendo i molluschi in tutta Italia.

Contadini del mare – Nel secolo successivo fare il “contadino del mare” divenne assai meno desiderabile e remunerativo. Alcuni tarantini impiantarono vivai a Chioggia, La Spezia e Olbia,  la costruzione dell’arsenale della Marina e  la creazione del più grande impianto siderurgico europeo, offrivano in alternativa un lavoro più sicuro, pulito e redditizio. Per non parlare del duro colpo che arrivò nel 1973, quando le cozze taratine vennero considerate responsabili della presunta epidemia di colera che colpì l’Italia meridionale, seguita dall’inevitabile decreto che ne vietò la coltivazione. Se non fosse stato per i pochi irriducibili legati alle tradizioni, oggi le cozze di Taranto sarebbero un lontano ricordo. Invece, grazie alla loro determinazione e agli investimenti, la miticoltura in questi ultimi anni è letteralmente rifiorita, facendo del tarantino la maggior area di produzione al mondo di mitili allevati, con una produzione di circa 35.000 tonnellate all’anno e più di un migliaio di addetti. Proprio grazie a questa nuova spinta nell’ultimo decennio, con l’aiuto dei ricercatori del CNR, si sperimenta anche l’allevamento di ostriche, che vengono allevate in particolari ceste insieme a ricci di mare, che provvedono alla loro pulizia e tengono lontani i predatori. I primi risulatati sono molto promettenti in termini di qualità e quantità. Queste iniziative hanno portato nuova linfa alla città, tanto che alcuni “marinai-contadini” hanno ricominciato ad abitare nel centro storico, la città dei pescatori che dal dopoguerra era stata via via abbandonata in favore delle più comode abitazioni sulla terraferma, vicine alla Marina e alle fabbriche. Perchè la città vecchia (Borgo Antico) è un isola , una piccola lingua di terra circondata dalle acque dei due mari, dalle strade strette strette dove le auto non passano, e collegata alla terraferma solo da un ponte girevole, il San Francesco di Paola, uno dei simboli della città. Una grande opera d’ingegneria navale, che durante le procedure di apertura e di chiusura, circa 20 minuti, divide per più volte al giorno in due la città (pessimo posto per abitare se si vive di fretta). Ma a che cosa è dovuto lo straordinario sapore delle cozze di Taranto? A una rara combinazione di diversi elementi. Prima di tutto l’acqua, che grazie alle numerose sorgenti che sgorgano dai fondali del Mare Piccolo ha un contenuto salino inferiore. I tarantini la chiamano “acqua grassa”. La salinità ridotta, la semi stagnazione e un clima caldo e asciutto, creano una condizione idrobiologica ideale per la coltivazione dei mitili, favorendo la proliferazione del plancton, il nutrimento  della cozza che, coltivata in questi “campi liquidi”, acquisisce un gusto particolarmente delicato. La pratica della mitilicoltura è semplice: su strutture portanti in legno o metallo fissate al fondale, lunghe una decina di metri e chiamate semplicemente “pali”, vengono ancorate le corde dove sono agganciati i filari di cozze. Si parte da cozze appena nate che,  quando crescono, vengono separate spaziandole e rimesse in acqua per un nuovo ciclo di crescita.

Tempi duri per i troppo buoni – Mediamente una cozza potrebbe vivere fino a 4 anni, ma la sua prelibatezza ne accorcia drasticamente la vita. Dopo 14 mesi necessari per raggiungere la giusta dimensione e “maturazione” vengono passate all’impianto di depurazione, dove sostano in vasche irradiate da raggi ultravioletti per 24 ore,  confezionate e subito spedite, pronte per la pentola. Secondo un’errata convinzione, la cozza prospererebbe nelle acque sporche e inquinate da scarichi fognari, traendo alimento dalla carica batterica. Non è così. Anzi, l’inquinamento arreca mitilimolti più svantaggi che vantaggi, ed è causa molto spesso di epidemie massive tra le stesse. La cozza è un animale filtratore che predilige acque pulite ricche di  plancton e di particelle organiche. Le norme per produrre e commercializzare i molluschi sono sancite dal Decreto Legge che regolamenta le condizioni sanitarie da rispettare nelle fasi di raccolta, manipolazione, conservazione, trasporto e distribuzione dei molluschi vivi, garantendo un prodotto sicuro, sia dal punto di vista igienico sanitario che nutrizionale, e togliendo finalmente ogni riserva al consumo di questi molluschi, che costituiscono una notevole ed economica fonte di proteine nobili alternative. La tradizione vuole che le cozze siano più buone nei mesi senza la “r”e ancor più se sono in fase riproduttiva, quando risultano leggermente lattiginose e particolarmente delicate. I buongustai prediligono le femmine, che sono molto più dolci e profumano maggiormente di iodio, ma, avendo l’involucro uguale ai maschi, si riconoscono solamente una volta aperte, quando ormai è troppo tardi per scegliere….Non sono gialle ma rosse arancio.

Modi di dire – In molte città d’Italia è usanza chiamare“cozza”  una brutta ragazza. Piuttosto strano visto che il mollusco omonimo ha così tanti ammiratori. La spiegazione, abbastanza volgare, prende spunto da una presunta somiglianza dell’animale, una volta aperto,  al sesso femminile. Come dire: “La sola cosa bella che hai non si vede….”. Mentre dire “mi si è attaccato come una cozza” riferendosi a una persona morbosa e  soffocante è più che giustificato, visto che le cozze sono in grado di attaccarsi tenacemente a qualsiasi superficie.

Testo e foto: Giovanni Tagini

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