Un incidente senza precedenti?

Greenpeace aiuta a fare chiarezza sulla marea nera in Messico che distrugge l’ecosistema e minaccia il turismo.

A partire dal 1969 incidenti come quello della piattaforma Deepwater Horizon della BP nel golfo del Messico hanno provocato danni ingenti all’ecosistema: migliaia di tonnellate di petrolio sversate in mare e migliaia di uccelli soffocati dal catrame. Gli ultimi pesanti rilasci di sostanze tossiche avvennero nel 2005 a causa dell’uragano Katrina. Oggi la stessa BP ha dichiarato una produzione potenziale della piattaforma di 150.000 barili al giorno: potenzialmente uno sversamento in mare di 20.250 tonnellate di petrolio al giorno! E chissà quanto durerà lo sversamento? Un primo tentativo  di chiudere le valvole con un robot filoguidato è fallito e ora si sta provando con una cupola di cemento, ma ci vorranno mesi. BP ha dichiarato che pagherà tutte le perdite economiche accertate e quantificabili. I pescatori stanno organizzando  una “class action” per chiedere almeno 5 miliardi di dollari. Anche il settore turistico rischia di registrate perdite ingenti, la sola pesca sportiva in mare per esempio è un bussiness da oltre 700.000 dollari l’anno con oltre 7.700 posti di lavoro. Tuttavia, i precedenti dicono che difficilmente BP rimborserà i danni ambientali che sta causando. La Exxon Mobil dopo quasi dieci anni di appelli e perizie è stata sanzionata per poco più di 500 milioni di dollari risparmiando l’ammenda di 5 miliardi che sarebbe servita a pagare i danni ambientali. Danni che, d’altra parte, sono spesso difficili da quantificare, valutare e monitorare. Le sostanze tossiche rilasciate dalle migliaia di tonnellate di petrolio potrebbero avere effetti notevoli sia sul plancton che su altre specie. Gli effetti tossici dei disperdenti, che riducono l’impatto sugli uccelli, aumentano quello su fauna e flora marina. Da metà aprile a metà giugno nell’area è in corso la riproduzione del tonno rosso, una specie già decimata dalla pesca eccessiva di cui è stato anche proposto il bando del commercio internazionale. Nella stessa area sono presenti tartarughe marine e cetacei (come le focene, varie specie di delfini, balenottere, capodoglio e capodoglio pigmeo o cogia). Lungo la fascia costiera del Golfo del Messico, negli USA, ci sono oltre 2 milioni di ettari di zone umide, con oltre 400 specie a rischio. Il Governatore della Louisiana ha dichiarato che la marea nera minaccia almeno 14 Aree Protette. In pericolo ci sono varie specie di rettili (tartarughe e alligatori), lontre, pellicani bruni (il simbolo della Louisiana) e decine di specie di uccelli migratori, canori e limicoli. Sono molteplici i fattori che possono scatenare questi incidenti, che per altro non sono  il maggior contributo all’inquinamento da petrolio in mare: gli abituali lavaggi delle cisterne e le fonti terrestri sono un problema maggiore benché meno appariscente. Per combattere il cambiamento climatico e l’acidificazione degli oceani (entrambi conseguenza dell’aumento atmosferico della CO2 causato dai combustibili fossili), l’unica soluzione è smettere di cercare, trasportare e usare questi prodotti. Settori sempre più ampi dell’industria si sono ormai appropriati degli scenari della “Rivoluzione Energetica“, descrivendo percorsi realistici che in un futuro prossimo permetteranno di abbandonare petrolio, carbone e nucleare (fonti sporche e pericolose) passando alle energie rinnovabili (solare ed eolico) e all’efficienza energetica.

 

Testo: Daniela Bozzani     Foto: Archivio web

 

(fonte Greenpeace: www.greenpeace.org/italy/news/marea-nera-risposta)

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