Le strade in laterite rossa, dove incontri fantasmi scuri che mulinano tra la polvere in sella a biciclette nere, copie delle nostre indimenticate Bianchi e ragazzini che saltellano sorridenti con la cinghia del libro, uno solo, sotto il braccio. La scuola dista qualche chilometro, ma non importa, prima o poi arriveranno. Un clacson strombazza in lontananza. E’ quello di un taxi brousse che annuncia il suo imminente passaggio, colmo di genti e di storie, stipato sino all’inverosimile. Come i cesti delle vesti e del cibo, ammassati e colorati sopra il portabagagli. In Africa, spostarsi sulle strade di terra rappresenta un’avventura giornaliera. Che si fa addirittura più esaltante se si scelgono le vie di acqua. Alcune rotte sono leggendarie. Il mezzo di trasporto sono le chiatte, che si inoltrano nel cuore di tenebra dell’Africa, facendosi portare dalla massa di acqua scura del fiume Congo, un fiume venerato e onnipotente come un Dio. Tra
piroghe, città fluttuanti e predicatori, nella bellezza della foresta fluviale, a dieci chilometri all’ora, a bordo del pousseur Bokutu, lungo una sessantina di metri, si è catapultati su di un universo viaggiante che sembra allargarsi ad ogni attracco, quando salgono altri volti, altre ceste e altre masserizie. E nuove tende fatte con le lenzuola vengono issate sopra la chiatta. Si spande intorno profumo di cibo, soprattutto di alimenti cucinati con la manioca, e il suono della lingua lingala si mescola al muggito delle mucche. Sul Bokutu, infatti, come una arca di Noè trovano spazio anche gli animali, che sembrano guardare incantati la foresta, seconda solo a quella
dell’Amazzonia, scorrere lentamente. Un viaggio lungo 900 chilometri che comincia dalla città di Mbandaka sull’Equatore, fin quasi alla capitale KInshasa a bordo delle balenière, barconi a fondo piatto, che si insinuano tra isole e canali attraccando ogni sera in un luogo diverso, soprattutto villaggi di pescatori che vivono sulle palafitte. I compagni di questa avventura, dentro un Congo che si sta riprendendo da una delle più atroci guerre dell’Africa nera, sono commercianti che bussano alle porte di ogni capanna per offrire poche cose, contadini dai volti solcati dalla fatica, bambini sempre gioiosi. Lungo il tragitto, si scoprono anche luoghi sorprendenti come il giardino botanico di Eala, che lotta contro la forza straripante della foresta. I giardinieri col macete provano a sfoltire le migliaia di alberi, alti come cattedrali della giungla. In quello che è il terzo parco tropicale del mondo, infatti, la foresta è impossibile da contenere. L’unico a essere mansueto, facile da controllare, è un anziano coccodrillo che se ne sta a mollo in una vasca di cemento. Tante sono le immagini che restano indelebilmente impresse viaggiando sul fiume Congo. Dalle pile di piroghe che insieme formano un lingotto di legno galleggiante, la
quinta verde della foresta che si specchia nel marrone dell’acqua sin quasi a inghiottirlo interamente, le capanne dove i bambini vendono il pesce insieme alle madri sulla riva. E, ancora, la piantagione di cacao a Kawa, che si estende sul cocuzzolo di una collina, con la sua chioma spettinata di erba alta e gli alberi di frangipane. Pochi volenterosi e coraggiosi coltivatori, che sono rimasti anche dopo la partenza dei proprietari belgi, provano far spuntare ancora magicamente quello che diventerà cioccolato. Del resto in Africa nessuno si dà mai per vinto. Le chiatte sul fiume Congo sono anche teatri di varia umanità. I passeggeri bianchi, soprannominati mondale, attirano la curiosità e destano una simpatia che, durante le lunghe ore e negli interminabili
giorni di navigazione, diventa qualcosa che assomiglia all’amicizia: tutti condividiamo il medesimo destino di naviganti. Peccato che durante il tragitto non si incontrino gli ippopotami in agguato, come racconta Joseph Conrad nel libro “Cuore di tenebra”, però il paesaggio resta affascinante: banchi di sabbia, altre piroghe, imbarcazioni sacre di predicatori neoapostolici che salmodiano a voce alta, mandando in visibilio i passeggeri. Kinshasa, intanto, si avvicina e il corso del fiume si restringe, fungendo anche da confine politico tra Repubblica Democratica e Congo Brazaville. Ed eccolo, prima in lontananza e poi farsi sempre più vicino, il porto di Maluku, approdo finale, dove uomini, merci, buoi, tende e manioca sbarcano dal Bokutu e, prima di scomparire inghiottiti dalle loro esistenze sulla terra ferma, lanciano un ultimo sguardo alla corrente del Congo. Un po’ commiato, un po’ ringraziamento, un po’ nostalgia. Ma non c’è quasi tempo. Tra poco il Bokutu si riempirà di nuovo e comincerà un’altra avventura.
Testo: Luca Bergamin Foto: Mauro Querci
Questo viaggio di parole e immagini è narrato dal giornalista Mauro Querci nel libro “Certe Afriche, storia e geografia di un amore (ogni copia 25 euro, info mauro.querci@alice.it, tel. 333.4625879). I proventi sono destinati interamente al progetto di assistenza agricola nella contea Rumbek nel Sud Sudan della onlus Cefa di Bologna. In questa zona, dopo venti anni di guerra, si cerca di estendere le aree coltivabili e rendere quindi accessibili le risorse alimentari a migliaia di bambini, uomini e donne. Con ogni libro si contribuisce all’acquisto di strumenti per la campagna (aratri, zappe, vanghe, rastrelli), buoi per arare i campi, e alla realizzazione di orti botanici nelle scuole per insegnare ai più piccoli le tecniche agricole.
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