L’architettura in stile new khmer del si staglia imponente sulla “rive droite” del Mekong river, nella calda città di Phnom Pehn.Il fiume in quel punto largo oltre 2 km., scorre placido e tranquillo , quasi pacifico prima dell’ora solenne del tramonto.Poco lontano, una vecchia nave ristrutturata è adibita a casinò e ricorda quasi la “roulette russa” e Cristopher Walken nel film “il cacciatore”. Sull’altra sponda del Mae nam Khong(madre di tutti i fiumi), un ragazzo controlla dei bovini al pascolo.Intorno al capo porta il tipico kanseng, il fazzoletto divenuto celebre per merito dei feroci guerrieri khmer rouges.In Cambogia il Mekong viene chiamato Tonle Tom( grande fiume) e nessuno vuole ricordare che è stato la culla del genocidio, del dolore, dell’orrore di Pol Pot il carnefice. Quelle acque che scendono dal Tibet , si sono portate via migliaia di cadaveri e quintali di sangue, senza lasciare segno alcuno. Mi sto godendo la soffusa luce del tramonto sulla misera barchetta, quando sento il suono di una nave da crociera tutta illuminata, per giunta credo anche italiana. L’uomo della barca mi guarda sospettoso, con odio misto a timore, con la mascella dura tipica del suo popolo; gli europei quaggiù hanno provocato disgrazie e dolori continui .Sono gente fiera e orgogliosa e non chiedono nulla, neanche una sigaretta. Loro dicono che “noi facciamo l’amore, come loro fanno le guerre”.
Testo di Luigi Cardarelli
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