Aquila: una testimonianza autentica sugli attimi indelebili del terremoto

A volte nella vita un attimo fa la differenza tra un successo e un fallimento, tra un’idea geniale e una banale, tra la disperazione e la speranza e tra la vita e la morte. A volte il cambiamento è radicale non solo per il singolo, ma per un’intera comunità e qualcosa scuote le anime in modo totale e irreparabile. Il 6 aprile 2009, nella notte alle 3.32, una scossa ha crepato l’Aquila e le certezze di tutti i suoi abitanti: una manciata di secondi sono stati sufficienti ad aprire ferite profonde e indelebili nella mente e nel cuore di tutta una nazione. La risonanza dell’evento ha raggiunto subito gli italiani mossi dalla solidarietà umana per aiutare gli sfortunati protagonisti della tragedia abruzzese. Tuttavia spesso gli interventi in proposito sono stati informati solo da intenzioni retoriche allo scopo di alimentare la mitizzazione di alcuni personaggi. Un autore coraggioso, Alessandro Aquilio, ha scritto un libro spoglio di ogni virtuosismo letterario e concepito come testimonianza essenziale di questo triste evento. Il titolo emblematico è “23 secondi” e si riferisce alla durata del terremoto: un dato secco che riflette lo stile del libro senza filtri ideologici, mentre racconta la storia di una famiglia che deve fare i conti con il trauma e con la nuova situazione di sfollati. Il narratore presenta immagini crude su uno sfondo senza eroi pieno di gente comune che, di fronte alla distruzione, si scopre impotente e disperata e permette di riconoscersi facilmente negli aquilani. In fondo tutti gli uomini condividono la stessa fragile consapevolezza e, paradossalmente, anche la straordinaria forza di reagire. Un’universalità che coinvolge come sostiene Paola Turci nell’introduzione del libro, attiva insieme ad altre celebri cantanti nell’iniziativa Amiche per l’Abruzzo. Aquilio condensa angoscia, incertezza, amore e rabbia e le trasmette in un attimo lasciando che ci entrino direttamente nelle vene. “23 secondi” indimenticabili.

Testo di Mauro Pinto

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