ROCCA D’ANFO (BS) – Sentinella della storia

Chi sta in alto dice pace e guerra… Bertolt Brecht

La Rocca d'Anfo (BS)

A strapiombo sul Lago d’Idro, in provincia di Brescia, , la Rocca D’Anfo si nasconde timidamente ai turisti che passano. Complesso di fortificazioni, che ha resistito a sei secoli di guerre. Per andare da Brescia a Madonna di Campiglio si transita da qui, da questo lago alpino, argenteo e maltrattato.

Vista dalla Rocca

Pochi si fermano più del tempo di un panino, quasi neanche spengono la macchina per arrivare prima sui sentieri dolomitici. Peccato, perché lo spettacolo che la Rocca offre, non è un’esperienza da tutti i giorni. Arriviamo ad Anfo in una mattina gelida. Un vento prepotente ha scacciato dal cielo l’ultima nuvola. In paese quell’aria non arriva. Gli fa scudo il Monte Censo che, poco a nord del gruppo di case, spunta dall’acqua con le sue lame di roccia e incombe sul lago, confine naturale sempre conteso tra mondo latino e germanico. La montagna è ripida e aspra, la vegetazione ostinata. La strada che corre sotto il monte è stata per secoli comodo passaggio per mercanti e invasori. Fino alla costruzione della Rocca. Ampliata, ricostruita, a tratti distrutta, la Rocca che oggi vediamo è l’insieme di due “rocche”, una veneziana, la più antica a sud, l’altra napoleonica, che compone la cresta settentrionale della montagna stessa. La prima pietra fu messa su nel Quattrocento, poi venne lasciata nel dimenticatoio per lunghi anni. A metà del

Interno della Rocca

Cinquecento, un capitano la descrive ironicamente come capace di impedire l’avanzata solo a chi arriva disarmato. La rinascita arriva poi con Napoleone il quale rimase impressionato dalla sua imponenza, tanto che inserisce la Rocca d’Anfo in un sistema coordinato di difesa contro l’Austria. Anche noi oggi restiamo impressionati nel ammirare quello che riuscirono a costruire. Gli ultimi soldati dell’Esercito italiano se ne sono andati a metà degli anni Settanta e da allora la Rocca d’Anfo è stata inghiottita dal monte, espugnata dalle radici di un bosco selvaggio. Per liberarla dalla piovra vegetale c’è voluta la buona volontà della gente del lago. Appena ricevuto il via libera, comune, protezione civile, volontari del Gruppo Sentieri Attrezzati di Idro sono entrati in forze e, metro dopo metro, hanno ripulito la strada e liberato i muri da tonnellate di rovi, edere ed erbacce. Se adesso la rocca si può visitare è merito loro, che dedicano ogni momento ad accudirla. Pochi tornanti e ci ritroviamo in cima al mondo. La vista e il panorama sono impressionanti. Il confine, il Trentino, le vette, il lago, l’altra riva, quella dei boschi e dei contrabbandieri,

Interno della Rocca

erano visibili. Praticamente tutto ciò che serviva conoscere a coloro che stavano qui di guardia. La salita continua. Ci infiliamo in una galleria trapuntata di mattoni e inizia un’altra scala infinita, tutta coperta. Tra un lucernario e l’altro è buio pesto, ma non si può sbagliare strada: ci lasciamo alle spalle le batterie della Grande Guerra e proseguiamo. Finché la scala si attorciglia, si sente soffiare il vento e infine la chiocciola si perde in una cupola alta e rosata, una bolla d’argilla. È la parte più alta del complesso, una torre-osservatorio dalla geometria perfetta in granito e mattoni. Tutto è così curato, ogni particolare studiato nei minimi dettagli e l’insieme risulta così maestoso che pare impossibile servisse a fare la guerra. Maestoso ma fragile. Tanto che la sua sopravvivenza dipende, come purtroppo spesso accade per le testimonianze della Storia, dal lavoro di appassionati volontari.

Testo di Giovanni Tagini e Samantha Lamonaca                                    Foto di Giovanni Tagini

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