Quasi ora di cena, i capelli scompigliati dal vento e ancora umidi di acqua salata, corro veloce sulla strada, e quasi mi dimentico che la mia nuova auto non ha ne’ finestrini ne’ sportelli.. spingo il pedale dell’acceleratore fino a raggiungere la velocita’ massima di..20Km/h!! Dopo tutto, siamo in Messico, paese dove e’ proibito stressarsi e gli orologi sono principalmente ornamenti da polso. Esattamente mi trovo a Isla Mujeres e la mia velocissima auto altro non e’ che uno dei numerosi golf cart utilizzati per spostarsi su questa bella isoletta. L’ appuntamento piu’ importante della serata, come di tutte le sere del resto e al quale non e’ concesso arrivare tardi, e’ con il sole al tramonto, e per questo mi affretto a raggiungere uno dei piccoli locali lungo la spiaggia, tetto di paglia e pavimento di sabbia, dove potermi godere lo spettacolo sorseggiando una cerveza helada e magari scegliendo la mia cena tra squisiti piatti di pescado fresco. Tutto il resto puo’ essere con calma rimandato a domani. Questa e’ la mia storia, probabilmente simile alle tante storie di coloro che arrivano su questa piccola isola a circa 30 minuti di traghetto da Cancun. Allo stesso tempo abbastanza vicina e abbastanza lontana dalla terraferma, Isla Mujeres rimane sospesa tra le atmosfere intime e i ritmi rilassati del vero spirito messicano e il caos di traffico, turisti e alberghi enormi che si trovano invece sulla costa di Cancun, e che qui per fortuna ancora non sono ancora arrivati. Piu’ del suo mare, comunque stupendo, e presente in ogni aspetto della vita dei suoi abitanti, sono proprio le storie che intorno a quest’isola si intrecciano e prendono vita che contribuiscono a rendere Isla Mujeres da molti punti di vista un luogo particolare. A cominciare dal suo nome. La leggenda ricollega infatti l’origine di un nome cosi’ pittoresco (isola delle donne) ai tempi dei primi conquistatori spagnoli, e precisamente ai primi anni del 1500 quando Francisco Hernandez de Cordoba e i suoi uomini sbarcarono su quest’isola trovando diverse raffigurazioni femminili all’interno del tempio dedicato a Ixchel, Dea Maya della fertilita’, della ragione, della medicina, della felicita’ e della luna. Il tempio si trovava a picco sulla scogliera nell’estrema punta
meridionale dell’isola, e in virtu’ della sua posizione aveva in origine anche la funzione di faro. Durante la notte doveva essere uno spettacolo notevole, perche’ la luce delle torce che lo illuminavano all’interno, filtrando attraverso le aperture nelle pareti poteva essere vista anche da chi navigava a grande distanza. Oggi purtroppo del tempio restano soltanto poche rovine, ma la zona di Punta Sur merita senz’altro una visita e rimane una delle piu’ spettacolari dell’isola. In epoca pre cristiana, Isla Mujeres era considerata sacra alla Dea Ixchel. Secondo un antico rito di passaggio all’eta’ adulta, le giovani donne Maya erano tenute a viaggiare da sole verso l’isola, portando con se soltanto alcune statuine di terracotta raffiguranti la dea. Le statuine venivano poi infrante sul pavimento del tempio e devono essere state queste le stesse immagini ritrovate in seguito da Hernandez e i suoi uomini. Nella letteratura Maya Ixchel viene spesso associata al simbolo della luna calante e rappresentata con chele al posto delle mani, una gonna adornata da ossa incrociate e un serpente sulla fronte. In questo senso, l’aspetto terrificante, quasi affamato di vittime ci rivela anche
la sua associazione con la guerra e la morte. In realta’ essa rappresenta il ciclo intero della vita, dalla nascita fino alla morte, proteggendo quindi sia chi viene al mondo sia chi lo lascia. A questo riguardo vale la pena di ricordare che la concezione della morte nella cultura Maya, cosi’ come in molte delle culture e tradizioni piu’ antiche, assume un significato diverso rispetto a quello che riveste nella cultura occidentale moderna. Coloro che morivano in battaglia o di parto o durante un sacrificio o suicidi, avevano assicurato un diretto passaggio in paradiso. Per gli altri poteva esserci un periodo di attesa, o la possibilita’ della rinascita, oppure la dannazione eterna dello Xibalba. In ogni caso, al momento in cui si doveva morire, farlo sotto la protezione di Ixchel costituiva la migliore delle alternative. In seguito Isla Mujeres rimase praticamente disabitata per quasi tre secoli, offrendo riparo soltanto a pescatori e pirati, i quali, mentre occupati a saccheggiare porti sulla terraferma o assaltare galeoni in alto mare, si dice amassero utilizzarla come nascondiglio sicuro sia per le loro donne (da qui anche una seconda leggenda sull’origine del nome) sia per i loro tesori. Perfino pirati famosi come Henry Morgan e Jean Lafitte sembra abbiano scelto le sue bianche sabbie per seppellire parte dei loro tesori.
Testo e foto di Elisa Bosco
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