Un originale giro del mondo, per scoprire i sapori del mondo senza muoversi di casa. Un gioco piacevole e goloso per sognare tra profumi insoliti. Tanto, alla peggio, restano i rassicuranti manicaretti di mamma.

La mia mamma diceva sempre che…la vita è come una scatola di cioccolatini…non sai mai quello che ti capita.
Tom Hanks in Forrest Gump 1995
L’idea di girare il mondo è ciò che mi entusiasma di più, in assoluto; peccato che i soldi siano sempre pochi e non posso proprio permettermi ora di partire alla scoperta di terre lontane. Ma non mi arrendo facilmente. Ho capito che si possono conoscere altre culture anche attraverso il cibo. Un vecchio proverbio cinese recita che si può conoscere un uomo in base a ciò che mangia. Ecco lo spunto per dare il via al giro del mondo a tavola, pur rimanendo a Milano, la città in cui vivo.

Il mio viaggio per i ristornati etnici inizia dal Sud America con El Paso de los Toros, primo ristorante argentino a Milano, nato nel 1992 a due passi da Porta Venezia. Il locale offre varietà di piatti che hanno un unico comune denominatore, la carne. Mi spiegano che il filetto di Angus chiamato dagli argentini Lomito, è la bistecca per eccellenza. Cucinato alla griglia e servito con contorno di patate e insalata è il must del posto. Gli italiani che vengono a mangiare qui richiedono spesso anche le Empanadas, panzerottini ripieni di carne con verdure e patate. Non manca il Guiso al Chili ovvero chili con carne di manzo, riso e crema di fagioli. Per digerire una cena di carne è meglio chiudere con il liquore locale il Legui estratto dalla canna da zucchero, a base di erbe aromatiche, si beve liscio o con ghiaccio.


La prima cena è stata breve ma intensa, cosi il giorno dopo decido di spostarmi di continente e di passare a un ristorante eritreo… Non ho una linea da seguire, è questo il bello del mio viaggio a tavola. L’ambiente è diverso, caldo e accogliente. Sono al Warsa, già segnalato come ottimo dalla guida Michelin, e Biniam il proprietario del locale, mi racconta la sua storia. Mi spiega che, figlio di genitori venuti in Italia in cerca di un futuro migliore, ha aperto il ristorante 22 anni fa. Biniam è molto gentile, mi fa assaggiare il famoso piatto unico eritreo, lo Zighinì fatto di pane Ingera, servito con carne di manzo, o pollo, più spinaci, lenticchie rosse, verza, e couscous. E’ un piatto che si può preparare in molti modi, ma che per essere gustato al meglio va consumato con le mani, magari accompagnato da un ottimo vino rosso Sud Africano, il Versus. Il pane eritreo è molto particolare, sembra quasi una spugna, lo rende così il miscuglio di 3 tipi di farina, quella di granoturco, farina di riso e farina di mais. Questo pane viene usato al posto delle posate. Dopo cena è tipico bere un digestivo, thè ai chiodi di garofano e cannella. Il caffè è invece una specie di rito, una procedura lunga, esclusiva delle donne di famiglia, mentre per quanto riguarda i dolci, la cucina eritrea è l’unica al mondo a non averne. Mi chiedo ancora adesso come possano resistere…senza dolci io non potrei vivere. Per ragioni commerciali si rimedia con un budino al cioccolato con peperoncino e un dolce alle mandorle assolutamente poco africani.

Terzo giorno terzo ristorante. Opto per un giapponese, e dato che Milano brulica di ristoranti del Sol Levante, ho scelto quello perfetto per i pranzi, il Momigi, con un menù unico a 10 euro tutto a volontà. Avete capito bene, potete ordinare grandi quantità di riso giapponese, sushi, sashimi, in quantità illimitata. Chi lascia qualcosa nel piatto però paga una penale. Ma che differenza c’è tra il sushi e il sashimi mi chiedo? Il primo è a base di riso lessato e condito con aceto, il ripieno può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito in una ciotola di riso o arrotolato in una striscia di alga. Il sashimi invece è una delicatezza della cucina giapponese, consiste in fettine di pesce crudo, freschissimo tagliato sottilissimo da intingere nella salsa di soia e wasabi (il potente rafano giapponese adatto a pochi palati). Per i proprietari del Momigi è una novità essere protagonisti di un’intervista, ma mi interessa la loro storia e le loro usanze. E pazientemente accondiscendono. Si conclude il pranzo con un ottimo thè verde giapponese, ideale per digerire.


Prendo qualche giorno di pausa prima di visitare un ristorante indiano. Scelgo Shiva, ottimo posto per una cena tra amici o con la dolce metà. Curato nei minimi particolari, l’arredamento fa parte di un’antica collezione di mobili, come i tavoli le sedie e gli arazzi, importati direttamente dall’India. Mi faccio subito spiegare cos’è il Tandoor, grande vaso di terracotta dove arde la brace per la cena. Originario di un’area compresa tra il Punjab e il Pakistan questo metodo di cottura divenne poi metodo tradizionale per molti alimenti. Il pane Naan, accompagna ogni piatto e, prima di ogni cena l’usanza richiede uno shortino di whisky così a stomaco vuoto, il che mi fa già andare su di giri. Non essendo abituata, preferisco iniziare a mangiare e noto che la carne e il pesce vengono marinati e speziati, cucinati con diversi tipi di pane aromatico e fragrante, senza condimenti né soffritti. Inizio con gli antipasti, un mix di Potli misto con Polok Tikki ovvero pollo tagliato. I tipi di pane usati sono quattro, il Garlik Naan ovvero il pane all’aglio, Cheese Naan, al formaggio, Butter e Stuffed Naan, cioè burro e verdure. Molti piatti hanno un sapore speziato, merito del curry presente nella maggior parte degli alimenti. A mio parere è molto buono il Kofta, pollo con verdure e il riso Pulau con zafferano e mandorle, dal sapore molto delicato. È bello cenare qui, i sapori e gli odori ricordano l’India o almeno te la fanno immaginare.


Il giro del mondo è ancora lungo, e una buona marcia consente di non accumulare chili in eccesso. Cosi torno in Europa in un ristorante greco, e devo ammettere che non è stato facile trovarne uno altrettanto accogliente. Lungo il naviglio c’è la Ghireria Greca, un vero take away di piatti greci, che invece è più che disponibile a rispondere alle mie domande, mentre mi preparano una Pita Ghiros ovvero una pita con carne di maiale cotto sullo spiedo e cipolla, arrotolata nel pane greco. Questo piatto viene chiamato Souvlaki. Come secondo prendo una Moussakas che risalta il sapore di ingredienti freschi, un ottimo sformato di melanzane e patate con carne trita e besciamella. Consiglio: piattone 4 gusti, uno più goloso dell’altro… Mai concludere una cena senza un buon dolce. Le opzioni sono Baklava, pasta sfoglia con pistacchi e mandorle, Kadaifi, un tradizionale dolce greco, e i miei preferiti Kourabiedes, una specie di biscottini di burro con mandorle. Per una fame improvvisa questo può essere il posto ideale.


Altra tappa il ristorante tunisino migliore di tutta Milano, il “kebabbaro” per eccellenza, uno dei pochi a cuocere la piadina al momento. Sonia e Aziz, i proprietari di Big- H Su Su, in Italia da più di 20 anni, sono ormai milanesi d’adozione. Hanno iniziato con un ristorante tunisino, per poi adattarsi ai ritmi milanesi con un take-away: mangia veloce, corri e lavora. Scopro parlando con loro che il vero nome del kebab è Shawerma, ovvero carne “matta” che può essere di pollo o di vitello. Il pezzo di carne gigante che si vede girare si chiama Ghiros. Ma la vera specialità di Sonia, oltre alla piadina kebab fresca, è il couscous. Ho la fortuna di assaggiare il vero couscous tunisino, che viene preparato solo nelle grandi occasioni come matrimoni o feste importanti. Carne d’agnello, cipolla, pomodoroconcentrato, aglio, olio d’oliva, sale, uvetta e peperoncino sono gli ingredienti base per la preparazione di questo ottimo piatto. A mio avviso è il couscous più buono che io abbia mai assaggiato, con retrogusto piccante che accompagna il palato in paesi lontani. Il couscous può essere anche vegetariano, o di pesce, ma viene preparato solo su ordinazione. I dolci non mancano: i Baklava curiosamente assai simili a quelli della cucina greca, e i Kadiif realizzati con un tipo di spaghetti molto fine. Questo take-away è ideale per pranzettini veloci o cene alla svelta in piedi o seduti su sgabelli.


Ultima tappa della prima parte del mio giro del mondo a tavola, un ristorante americano: la California Bakery. A mio parere uno dei posti più romantici e genuini di tutta Milano. L’ambiente ricorda un vecchio bistrot anni ’50, i dolci ti inducono in tentazione, e le specialità americane da portare a casa ti possono viziare facilmente. In città, ce ne sono ben tre e il mese scorso è stato inaugurato un quarto punto. In attività da 13 anni, lo storico proprietario è riuscito a conquistare il cuore di molti milanesi. Le torte, realizzate rigorosamente dal pasticcere americano, sono le protagoniste: la Apple Cake, la Banana Ciocco, la Double Ciocco, sono una vera e propria esplosione di cioccolato, la Citrus, fatta con semi di papavero e limone, i favolosi Pancakes in tre versioni: normali, integrali e con chicchi di cioccolata. Nonmancano le bombe caloriche che prendono l’aspetto della Cheese Cake , al cioccolato, fragole, lamponi, mirtilli e limoni. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma se uno preferisse cenare, nessun problema: ecco sfornato un big hamburger con carne di prima scelta o un bagel, panini americani super ricchi in puro stile USA. Che sia un dolce o un salato California Bakery soddisfa in pieno ogni tipo di esigenza. Ottimo per una pausa caffè o the (importati direttamente dalla Francia). Io ne sono innamorata.
Così finisce la prima parte del mio tour. Ho mangiato con le mani il favoloso piatto unico eritreo. Sono stata tra i privilegiati ad aver assaggiato il couscous tradizionale tunisino. Ho scoperto i segreti dell’India, mi sono fatta viziare dai dolci americani, ho regalato sorrisi ai proprietari del ristorante giapponese. Per la prima settimana può bastare, ma il mondo non finisce qui. Perciò buon appetito e arrivederci alla prossima puntata quando, dopo una settimana di palestra a smaltire calorie, sarò di nuovo in forma.
Testo: Samantha Lamonaca
Foto: Nicolò Parsenziani
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