Definita dall’UNESCO una delle più belle città del mondo Cartagena de Indias spicca per i suoi splendidi palazzi color pastello. Incastonata in una baia di fronte al mare blu profondo, il suo clima e la sua gente sembrano fatti per lasciarci il cuore.
Colombia. Cartagena:venditrice di frutta
Mi sveglio tardi, dopo una notte di sonno profondo e senza sogni, tipico risultato di un lungo trasferimento aereo e del relativo jet lag. Le sciabolate di luce calda che filtrano dalle persiane vanno a disegnare una regolare geometria sulle pareti della stanza, arredata con mobili antichi e gusto impeccabile. L’aria ha un sentore di profumi che non so riconoscere, ma che ricordano i fiori di gelsomino, con una parvenza di agrumi. Il silenzio quasi perfetto è appena increspato da qualche vocio ovattato e dalle vaghe note di un ritmo pulsante e ancestrale, suonato sulle corde di una
Colombia. Cartagena: piazza centrale
chitarra lontana. Nei pigri minuti in cui riprendo piena coscienza, i ricordi si accavallano in ordine sparso: rammento un’atmosfera simile, a Cordoba, o Granada, o forse Siviglia, comunque nell’accogliente grembo della sensuale Andalusia. Mi alzo dal letto con gli occhi ancora impastati e spalanco la finestra su uno scorcio incantevole: sotto il cielo di un blu feroce il patio barocco è un tripudio di palme e sempreverdi. La sensazione di frescura è acuita dal gorgoglio gentile dell’acqua, che sgorga chissà dove sotto uno dei rampicanti, per poi formare una liquida bisettrice intagliata da un’angolo all’altro del porticato ombroso. Mentre respiro appieno l’aria fragrante e ammiro compiaciuto lo spettacolo, mi dico che doveva sentirsi così Muhammad ibn Nasr, il regale signore dell’Alhambra, ma un fugace movimento su un vicino grappolo rosseggiante di bacche contraddice l’ozioso pensiero: l’enorme becco dai colori cangianti del volatile che mi osserva per nulla impaurito è quello, inconfondibile, di un tucano. In un istante torno presente a me stesso.
Le sensazioni visive e olfattive sono quasi le medesime, ma non mi trovo nel sud della Spagna: sono ospite del lussureggiante hotel Santa Clara di Cartagena, in Colombia, e non ho davvero motivi per dispiacermene. Ho sempre nutrito la convinzione che viaggiare costituisca un fattore
Colombia. Cartagena: Hotel santa Clara
fondamentale per l’individuo; rinunciare a muoversi, qualunque sia la ragione di questa scelta, significa rinunciare a capire il mondo in cui viviamo e il perché delle sue spesso contrastanti dinamiche. Colui che ama il viaggio come esperienza di arricchimento culturale e cognitivo sa che ogni tanto occorre scompaginare le carte in tavola, lasciarsi ancora stupire e andare in cerca di mete significative e al contempo contraddittorie. Non è necessario valicare il confine del politicamente corretto per ricordare che la Colombia è universalmente percepita come un Paese difficile, ma occorre saper guardare oltre i luoghi comuni.
E Cartagena è il posto migliore per scoprire che anche in questa terra martoriata c’è spazio per il bello inteso nella sua accezione più universale, tant’è vero che nel 1984 è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. La magnifica cittadina coloniale affacciata sul Mar dei Caraibi, protetta da una possente cinta muraria che racchiude un dedalo di viuzze colorate traboccanti di negozi, ristoranti alla moda, piccoli alberghi dall’atmosfera ammaliante, è considerata giustamente il fiore all’occhiello dell’intera nazione. Lontana anni luce dai campi di battaglia dove si combatte la
Colombia.Cartagena: case coloniali
guerra civile che insanguina il paese da oltre quarant’anni, offre uno scenario architettonico e umano molto diverso da quanto si potrebbe immaginare. Tanto per intenderci, viene visitata ogni anno da circa un milione di turisti, quasi tutti connazionali o comunque sudamericani: questo è il posto dove vengono in vacanza i colombiani e lo si capisce subito dal gran numero di famiglie che si vedono a passeggio, con l’espressione rilassata di chi se la sta godendo. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti, perché la città vive in gran parte di turismo e – senza considerare la discreta ma costante presenza della polizia – tutti hanno interesse a coltivare quest’atmosfera di serena tranquillità, di modo che si può girare per le strade a qualsiasi ora, senza problemi.
Uscendo dalla studiata raffinatezza dell’hotel Santa Clara, ospitato in un antico monastero ristrutturato, ho per un attimo l’impressione di essere finito sul set di una produzione cinematografica, tanto perfetto è lo scenario. Il clima è caldo, ma ventilato, e l’aria è straordinariamente tersa. Mi trovo nel quartiere San Diego, che gravita attorno all’omonima piazza: un’area quadrangolare cinta dalle belle facciate di antichi palazzotti coloniali e resa ancora più vivace dai tavolini dei bar, che rimarranno affollati fino a notte inoltrata. Lo stile delle case, con le loro teorie di arcate e gli elaborati balconcini, mi rammenta le origini della città. Cartagena – anzi, Cartagena de Indias – venne fondata nel 1533 da Pedro de Heredia, che battezzò il nuovo insediamento col nome di una città spagnola della Murcia, e pochi anni più tardi fu munita di una fortezza e di mura che la proteggessero dalle incursioni dei pirati inglesi, olandesi e francesi. Durante il periodo coloniale spagnolo assurse a principale porto del continente e qui confluivano le enormi ricchezze il cui
Colombia.Cartagena: venditore di bevande nel centro storico
retaggio è ancora ben visibile nel tessuto urbanistico della ciudad amurallada e spiega perché questa sia una delle mete più rinomate della regione caraibica. Non ho molto tempo per indugiare in riflessioni storiche, perché alcuni suonatori di son (una varianta locale di salsa) polarizzano la mia attenzione.
Tutti i colombiani sono accaniti melomani, ma i cartagenesi sono addirittura fanatici: la musica è ovunque, così come ovunque ci si imbatte in musicanti di strada e infiniti altri ambulanti. In effetti, per il nuovo arrivato è sorprendente notare quanti siano i venditori itineranti che propongono ogni genere di mercanzia, dai gelati allo zucchero filato, dalle sigarette alle merci più improbabili, come scope e piumini per la polvere. Una menzione a sé meritano le contadine, quasi tutte dalla pelle nera o almeno caffelatte, che ogni giorno arrivano in città con l’autobus per vendere la frutta che portano in mirabile equilibrio sulla testa. Molte di loro sono abilissime a preparare in men che non si dica spremute o gustose macedonie di mango, papaya e altre delizie esotiche come guamas, nìsperos e guayabas. Mi lascio tentare anch’io e con gran soddisfazione, lo ammetto. Non sono affatto schizzinoso e d’altra parte non ne avrei ragione alcuna, perché l’igiene locale è davvero elevata.
Mi addentro nel labirinto di viuzze lastricate su cui prospettano case a due o tre piani, linde nei loro colori squillanti, e sbuco davanti alle Bóvedas, grande mercato affollato dai turisti ma non privo di fascino: nella ventina di negozi allestiti sotto le grandi arcate è possibile scovare prodotti
Colombia.Cartagena: sotto la Torre del Reloj
artigianali interessanti. Poco oltre capito in plaza Santa Teresa, sulla quale prospettano un bel palazzo barocco e un massiccio bastione in pietra, nella cui ombra stanno gli immancabili tavolini dei caffè. Proseguendo il mio girovagare, noto che diversi edifici ostentano portali d’accesso incredibilmente ornati, perfino monumentali a confronto con la sobrietà delle facciate: sono l’orgogliosa affermazione del benessere e del potere degli antichi proprietari, nobiluomini e mercanti spagnoli. Osservo anche che le case, dalle finestre solitamente protette da inferriate, sono concepite come una sorta di mondo a sé, organizzato attorno al patio interno: nel fugace aprirsi di una porta scorgo infatti un bel cortile, con il pozzo in un angolo ombreggiato da grandi cespugli di fiori odorosi e da una palma che solletica il cielo. Tanto è vivace l’atmosfera delle vie, sempre affollate, tanto intima quella delle private abitazioni.
Colombia.Cartagena: ingresso al centro storico sotto la Torre del reloj
Per certi aspetti simile all’Avana o ad Antigua, Cartagena è un imprevedibile gioiello di architetture per lo più costruite tra il Cinque e il Settecento: dei monumenti più interessanti devo citare almeno la Cattedrale, cinquecentesca, il palazzo del Governatore e il truce Palazzo dell’Inquisizione. Molti turisti non riescono a resistere alla comodità di una visita della città in calesse, ma io preferisco continuare a piedi, anche perché il centro storico è abbastanza piccolo da poterlo percorrere tutto senza stramazzare per la fatica. Mi imbatto così in plaza Santo Domingo, un lato della quale è interamente occupata dalla chiesa omonima, la prima costruita in città; in un angolo della spianata, una vistosa scultura in bronzo mi ricorda che la Colombia ha dato i natali a Botero. Un po’ più tardi, dopo essermi soffermato in un bar per dissetarmi con un bicchiere dell’imperdibile Aguila, birra locale leggera ma saporita, sbuco infine in plaza Simon Bolivar, dalle aiuole punteggiate di alberi maestosi e tutta cinta di eleganti case coloniali, impreziosite da balconcini in legno sormontati da tettoie in tegole. In quello che è uno dei principali luoghi di ritrovo cittadini mi attardo a osservare i molti giocatori di ajedrez, una versione
Colombia. Cartagena: gruppo di danze folkloristiche
locale degli scacchi, mentre gente di ogni età indugia a prendere il fresco sulle panchine. Qui, tra l’altro, mi convinco che entrare in contatto con i colombiani è facile: bastano un sorriso e un saluto e ci si può fermare per scambiare una piacevole conversazione.
Approdo infine nell’elegante piazza del Reloj, cuore pulsante dell’antica Cartagena e simbolo della città, a ridosso dell’omonima porta che si apre nella cinta muraria. È l’occasione giusta per salire sui bastioni, il cui perimetro è interamente percorribile: dall’alto delle mura lo sguardo corre sullo skyline accidentato della città moderna, capitale dello stato di Bolivar e popolata da poco meno di un milione di abitanti. A oriente scorgo i quartieri di Boca Grande, i cui avveniristici alberghi si affacciano sul mare, quindi gli altri alberghi e i palazzi del Laguito, sorti attorno a una piccola laguna, e la zona di Castillogrande, con le villette allineate lungo una spiaggia tranquilla. La città moderna non è affatto brutta, ma non mi attrae: preferisco il caldo abbraccio della ciudad amurallada. Il sole è ormai calato e le vie sono illuminate dal candore soffuso dei lampioni. È venuto il momento di fare una puntata fino a Getsemani, il quartiere più popolare della città vecchia. In questa zona un tempo malfamata, con le sue casette variopinte ammassate di fronte al porto, oggi si trovano alcuni dei locali e delle discoteche più alla moda. Ma al momento mi interessa scovare solo un ristorantino tranquillo, dove gustarmi la specialità locale, ossia il pesce cucinato ai ferri. Poi tornerò alla lussuosa quiete dell’hotel Santa Clara, ma forse prima mi fermerò da qualche parte a sorseggiare una piña colada. Sono ai Caraibi, no?
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