Nel momento in cui si sta riaccendendo il dibattito sul nucleare, sfruttando la crisi climatica, è necessario spendere qualche parola sul problema principale di questa energia che si definisce “pulita” (perché a bassa emissione di CO2) e priva di dipendenze fragili e ricattatorie dai paesi produttori di petrolio. In realtà l’energia nucleare è costosa e pericolosa e non è nemmeno in grado di conseguire le riduzioni di emissioni di gas serra in tempi utili. Le scorie nucleari sono e saranno il problema agghiacciante del futuro. Non esiste alcun esempio di deposito a lungo termine per ciò che rimane radioattivo per alcuni secoli o miliardi di anni a seconda se si parla di scorie a “vita media” o a “vita lunga”. Anche il ritrattamento del combustibile irraggiato è una scelta inquinante e inutile. I rifiuti, sotto forma di scorie vetrificate, tornano (anche in Italia!) dopo un processo più costoso dello stoccaggio a secco delle barre di combustibile, più inquinante per i rilasci in aria e acqua di radioattività, più pericoloso per i trasporti in andata e ritorno, con più rischi militari per la separazione del plutonio. L’EPR, il nuovo tipo di reattore che si vuole costruire in Italia, genererà scorie sette volte più radioattive dell’esistente, moltiplicando quindi per sette
anche i rischi della loro gestione. La concentrazione di investimenti sul nucleare, pericoloso in tutte le sue fasi per l’ambiente, la salute e la sicurezza mondiale, distoglie attenzione e ricerca da soluzioni alternative per sviluppare fonti rinnovabili meno pericolose e più veloci nell’affrontare il cambiamento climatico. Immaginate un milione di barili (200.000 metri cubi) contenenti scorie a basso e medio livello (cemento e metalli delle centrali smantellate, vestiti protettivi monouso, plastica, carta, filtri e resine), aggiungetene altri 50.000 (10.000 metri cubi) contenenti scorie ad alto livello (materiali che includono elementi altamente radioattivi): 210.000 metri cubi sono pari a 6.195 container, il carico di una portacontainer di 320 metri! Queste cifre spaventose, che neppure includono il combustibile nucleare esaurito, anch’esso scoria ad alta attività, rappresentano le scorie prodotte in un anno dall’industria dell’energia nucleare come stimato dall’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica). Scorie che restano radioattive per periodi di tempo che vanno da alcuni minuti a migliaia e centinaia di migliaia di anni per quelle più pericolose (a cui basta una esposizione di un paio di minuti per comportare un assorbimento fatale di radiazioni) e che vanno conservate in condizioni controllate per un periodo, potenzialmente pari a tante ere glaciali. Il “riprocessamento” di plutonio e uranio non utilizzati e separati dalle scorie propriamente dette per essere riutilizzati, viene effettuato su scala commerciale in Francia, Russia e Regno Unito, producendo pericolosissimi flussi di scorie attraverso oceani e paesi e città. Per recuperare e riutilizzare una minima parte del materiale, si producono grandi volumi di ulteriori scorie e radioattività in un raggio di 10 km dagli impianti di riprocessamento, causando disastrosi impatti ambientali e incidenza di malattie come la leucemia soprattutto tra i giovani. E’ stato stimato che nei prossimi 40 anni gli scarichi radioattivi dell’impianto di Rokkasho in Giappone potranno causare esposizioni equivalenti alla metà di quelle rilasciate a Chernobyl. Grandi volumi di scorie radioattive continuano ad essere scaricate nell’aria e nel mare ogni giorno. Fino ad oggi non è stato possibile trovare luoghi sufficientemente sicuri per costruire depositi geologici profondi. Quello di Yucca Mountain nel deserto del Nevada dopo quasi 30 anni e 8 miliardi di dollari e infinite
battaglie ambientaliste sta per essere abbandonato definitivamente. La proposta di aprirne uno in Finlandia suscita grandi paure. Mentre la Russia, nonostante i gravi disastri ambientali e gli effetti sulla salute pubblica, vuole importare scorie nucleari straniere in città come Mayak, uno dei posti più contaminati al mondo, che non rispetta gli standard richiesti per la gestione, la protezione delle popolazioni e la tutela dell’ambiente. Confidenziali fino al 1997, dati sui lavoratori di questa zona, rivelano un’incidenza doppia di patologie al sistema nervoso. Stessa incidenza per le malattie congenite nei bambini che vivono in prossimità degli impianti con una altissima percentuale di aborti spontanei e feti tipicamente malformati. Non si può pensare di risolvere il problema delle nostre scorie lasciando ad altri la distruzione del territorio e di intere generazioni. Anche non si volesse essere così “altruisti” basterebbe pensare alla insicurezza di impianti fatiscenti, custoditi da addetti incapaci di contrastare i numerosi furti registrati negli ultimi anni e la relativa vulnerabilità ad attacchi terroristici. I reattori non sono stati costruiti per resistere all’impatto di un grosso aereo e i trasporti di scorie sono ancora più vulnerabili. Uno studio fatto sull’impatto di un eventuale attentato ai danni di una spedizione di plutonio proveniente dall’impianto di riprocessamento francese di La Hague ha stimato 11.000 vittime a causa degli effetti dell’esposizione alle radiazioni. Uno studio simile condotto negli USA sulla centrale nucleare di Indian Point ha stimato più di 500.000 decessi a lungo termine e 44.000 a breve. Nel 1987, in Italia, il referendum contro il nucleare passò con percentuali plebiscitarie (più dell’80%) anche sull’onda emotiva del catastrofico incidente avvenuto solo un anno prima a Cernobyl. La fusione del nocciolo del reattore produsse il rilascio di una radioattività maggiore di quella sprigionata dalle bombe a Hiroshima e Nagasaki. 56 morti e 600.000 persone esposte a livelli significativi di radiazioni, migliaia di persone che dovettero abbandonare le proprie abitazioni nelle regioni contaminate, contaminazione che raggiunse luoghi lontani come Lapponia e Scozia. Gli effetti a lungo termine sulla salute e sul territorio non permettono nemmeno oggi di conoscere il numero preciso delle vittime. Dopo Cernobyl ci sono stati circa 200 disastri mancati
solo negli Stati Uniti, nel 2006 si è sfiorata una tragedia in Svezia e in Bulgaria. Persino nel precisissimo Giappone a causa di un errore degli operai si innescò una reazione a catena nucleare incontrollata. Come riportò l’AIEA “una grave mancanza di rispetto dei principi di sicurezza”: erano state adottate delle scorciatoie operative per rendere i processi più veloci e meno costosi. Anche i disastri naturali degli ultimi anni, allagamenti e terremoti, comportano rischi significativi.L’ultimo aspetto da non dimenticare è che il costo per la costruzione di un reattore nucleare è altissimo e tende a lievitare enormemente in corso d’opera. In India i costi per il completamento di 10 reattori hanno superato il budget iniziale del 300%. In Finlandia il primo reattore EPR al mondo (quello che verrebbe costruito in Italia) ha già superato le previsioni di spesa per più di due milioni di euro. Secondo Amory Lovins, dell’istituto americano Rocky Mountain, “ogni dollaro investito in efficienza energetica negli usi dell’elettricità elimina circa sette volte più anidride carbonica che un dollaro investito nell’energia nucleare e senza effetti collaterali”. Purtroppo, a fronte dei miliardi di dollari investiti nell’energia nucleare, le somme investite per la promozione di tecnologie rinnovabili sono state minime. Greenpeace e il Consiglio Europeo per l’Energia Rinnovabile (EREC) hanno incaricato il Centro Aerospaziale Tedesco di sviluppare una strategia energetica sostenibile su scala globale fino al 2050. Se venissero adottate politiche e scelte infrastrutturali intelligenti, fonti rinnovabili e misure di efficienza energetica potrebbero fornire metà del fabbisogno energetico mondiale entro quella data, riducendo l’uso di combustibili fossili al 30% rispetto a oggi. L’energia rinnovabile non richiede particolari regimi di sicurezza, corpi internazionali o trattati per governarne il commercio e l’uso. Un futuro energetico sostenibile e privo di rischi è a portata di mano: basta volerlo tutti!
Testo Daniela Bozzani Foto archivio
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