Non è Roma, non è Firenze ma non ha nulla da invidiare alle sorelle più grandi. La Torre , certo, ma non solo. Pisa è gelosa delle sue bellezze che dischiude solo per chi la ama.

Storto è bello!
La Torre
Compete con il Colosseo per il primato del monumento più conosciuto al mondo. Secondo i giudici del Guinness World Record, tuttavia, in pendenza viene superata di quasi cinque volte dal grattacielo Capital Gate di Abu Dhabi. Ma è già un record assoluto che la Torre Pendente sia ancora in piedi,sfidando le leggi della statica, da

Più di 800 anni e per ora a cadere non ci pensa proprio. Anzi, è in forma più smagliante che mai: ripuliti i suoi marmi e raddrizzata di ben 50 centimetri ha messo una seria ipoteca sulla sua sopravvivenza per i prossimi 300 anni, dicono gli esperti. Con buona pace del Guinness dei Primati e la gioia dei visitatori futuri. Tolti a Pasqua gli ultimi “strumenti di tortura” che la avvolgevano, dopo vent’anni di restauri, sono riemersi i suoi marmi levigati, sbiancati e riparati. Nella sua pancia le mani sapienti dei restauratori stanno ultimando l’altra opera importante: la rimozione dei solai e delle grate che ostacolavano la visuale strepitosa progettata dai suoi costruttori, adesso di nuovo aperta. Dentro questa torre cilindrica, la luce filtrerà attraverso le arcate e i loggiati, fino all’ultimo ordine (il settimo) in un gioco di luci, calde, rosate o brune a seconda del momento in cui

entrerete, dall’alba al tramonto. Questo è solo l’ultimo dei “miracoli” compiuti dai restauratori nella piazza omonima che in quasi dieci anni ha visto la Torre, 54 metri di altezza, raddrizzarsi di 28 millimetri dopo la cura d’urto di punture, cerchiaggi e tiranti. Vale la pena entrare per godersi lo spettacolo. La città si appresta a festeggiare alla fine dei lavori il 17 giugno, anniversario del decennale della riapertura della Torre e festa del Santo patrono di Pisa, san Ranieri. Giugno è un mese ricco di eventi che comincia con la Luminaria prosegue con la Regata storica di San Ranieri e finisce con il Gioco del Ponte, l’ultima domenica del mese. Se la visita alla piazza che d’Annunzio definì “dei Miracoli” è una tappa obbligata per ogni turista, non è l’unica.

Il piccione e il granduca
L’altra piazza
E’ meno imponente di piazza dei Miracoli ma più aggraziata. Nella piazza dei Cavalieri che si raggiunge come seconda tappa dopo appena cinque minuti a piedi, si sono svolti i momenti clou della vita politica cittadina sin dall’alto medioevo, ben visibili nei palazzi che la circondano.Il Conte Ugolino – che dovette la sua fama a Dante Alighieri- finì i suoi giorni qui, nella torre del Gualandi, adiacente al palazzo dell’Orologio. Leggete la targa se non ricordate in quale canto. La sua forma attuale fu disegnata da Giorgio Vasari, a cui il granduca Cosimo I de’Medici (che statuario campeggia per la gioia dei piccioni al centro della piazza) affidò a metà del ‘500 sia il disegno generale della piazza sia la decorazione esterna ed interna di alcuni edifici. Vasari creò una piazza-palcoscenico originale, con gli edifici disposti a cerchio come tante quinte teatrali: il palazzo dei Dodici (Cavalieri), la chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano (ordine fondato da Cosimo), il palazzo della Carovana, e inglobò, ridisegnandoli, i palazzi preesistenti. Qui si trova la Scuola Normale, fondata come la sua illustre equivalente parigina da Napoleone, sede dell’elite universitaria italiana, i mitici “normalisti”. Nei suoi banchi si sono seduti: Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli, nonché Carlo Azeglio Ciampi. Potete entrare e respirare quella atmosfera quasi religiosa, di

silenzioso raccoglimento; senza oltrepassare il gabbiotto d’entrata però, per poter entrare nelle sue bellissime sale, affrescate e ornate di stemmi lignei dovrete essere invitati. Uscendo dalla piazza seguite l’andamento sinuoso della via Santa Maria, dove scorreva l’Arno: in fondo, la visuale si apre sul fiume che si snoda tra i i palazzi eleganti fino al mare. Sui Lungarni che Leopardi definì “uno spettacolo ampio, così gaio” alle cui sponde poco più giù, attraccavano le galere della Repubblica Pisana, quasi di fronte al Ponte di Mezzo, incontrate De Bondt, un luogo di delizie, secondo la guida Chocolate Companion, tra i primi dieci artigiani cioccolatai nel mondo. All’interno sono allineate molte varietà di cioccolato: aromatizzate ai fiori (arancio, rosa e gelsomino), speziate (al cardamomo, peperone, zenzero e sale grosso), riempite di frutta (pinoli, arance, limoni, chicchi di caffè e mais tostato). Raffinate e ‘impreziosite’ di mandorle, frutta e noci diverse. Sul banco una lunga teoria di praline aspetta solo di essere scelta. Usciti dopo aver fatto una buona scorta sognando il Monte di Zuccherocandito, l’aldilà degli animali di George Orwell, e la Fabbrica della cioccolata del film di Burton, , guardate al di là del fiume: un palazzo vi colpirà, unico, per il suo colore.

Gli Zar sull’Arno
Il palazzo
E’ palazzo Blu, “Palazzo d’arte e cultura”, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa e della sua collezione permanente, inaugurato nel 2008 dopo due anni di restauri con una campagna fotografica ideata da Oliviero Toscani.Il blu non è una scelta di marketing ma è emerso con il ritrovamento sotto il balcone della facciata di questo colore, di origine settecentesca, forse usato per compiacere i maestri di Pietroburgo che lo usavano nelle facciate dei palazzi degli zar. I capillari lavori di restauro, hanno già restituito 3500 metri di superficie espositiva, tra museo permanente e spazi espositivi temporanei, una

antica strada altomedievale, le scuderie e la mansarda, dalla quale, di notte soprattutto, alla luce dei lampioni, si gode di una vista mozzafiato. Nella collezione permanente sono esposti quadri di Benozzo Gozzoli, Artemisia, Orazio Gentileschi, ed altri di scuola toscana fino al novecento. Le sale del palazzo sono esse stesse un museo dove sono esposti oggetti appartenuti alle famiglie proprietarie, alla maniera delle case museo Nella sala della musica c’è un bel fortepiano sotto il quadro che lo raffigura al centro di una ritratto della famiglia Roncioni di Desmarais. Dopo aver macinato due grandi mostre (Chagalle Miro) in due anni e molte altre minori in corso il palazzo ne ospita una tutta al femminile.

In guerra in crinoline
La mostra
Che cosa accomuna le protagoniste della mostra “Donne d’Italia. La metà dell’Unità”, in corso a Palazzo Blu, a Pisa, dal 16 marzo al 26 giugno? Coraggio, indipendenza di giudizio, caparbietà, e forse un pizzico di follia. La mostra, che ripercorre gli ultimi 150 anni di storia italiana attraverso le vite di donne celebri e anonime dall’Unità ad oggi, è un omaggio alle conquiste femminili raggiunte con fatica e senza sconti, per guadagnarsi un posto nella società e nella “hall of fame”come i propri uomini, padri, mariti o fratelli che fossero. Posto che le donne hanno guadagnato sul campo di battaglia reale o metaforico scavalcando ostacoli e retaggi di una cultura vecchia di secoli.che le relegava ai margini dalla società. Spesso da sole, talvolta a fianco dei propri compagni. Dalle file di queste donne emergono una ad una storie non comuni ma eccezionali: Matilde Serao, prima donna italiana a fondare e dirigere un quotidiano (Il Mattino e il Giorno) nel 1856, e poi Rose de Montmasson che partecipò alla Spedizione dei Mille insieme alla più nota Anita Garibaldi, Cristina di Belgioioso, nobile patriota di ideali socialisti, Grazia Deledda, vincitrice di un Premio Nobel per la letteratura, Anna Kuliscioff, a cui si deve la scoperta dell’origine batterica della febbre puerperale e Maria Montessori medico e inventrice del metodo educativo che porta il suo nome. Eccezionali nella loro determinazione. Tutte donne le cui scelte, sottolinea la curatrice della mostra, Claudia Beltramo Ceppi, “sono state viste piuttosto come le affascinanti e spesso pericolose stramberie di creature privilegiate piuttosto che come espressione cosciente di una volontà di partecipazione attiva alla nascita e allo sviluppo del paese. E che verranno talvolta ricordate per la loro bellezza esteriore”. Proprio la bellezza esteriore è stata una trappola che ha costretto le donne per secoli ad ingabbiarsi in vari oggetti di tortura. E’ difficile immaginare di correre o semplicemente di sedersi con le voluminose crinoline a gabbia in cerchi metallici e tessuto di cotone che pendono dal soffitto, raffinate e crudeli, nella sala dedicata alla moda e arduo respirare con i busti steccati e legati in uso 150 anni fa. Modello standard o per donne incinte. Dagli inizi del ‘900 però la moda si adegua, è meno decorativa (e punitiva). La nuova donna, che si misura in impieghi e professioni nuove, ha esigenze di praticità e di un abbigliamento adatto ad una vita più dinamica, di cui la moda diventa strumento funzionale. Durante le due guerre le donne entrano in fabbrica per sostituire gli uomini e non solo, avanzano insomma, in mestieri tradizionalmente maschili: ingegneri e tassisti, o si impiegano nell’industria.I tanti volti della femminilità continuano a convivere nelle opere degli artisti dell’epoca scelti dai curatori. La donna che cuce, di Boccioni l’angelo del fronte, di Casorati la crocerossina, e l’eroina dalla fisicità prorompente e drammatica di Guttuso vanno ad arricchire l’immaginario collettivo. In ritardo, rispetto alla maggior parte dell’Europa e degli Stati Uniti, nel 1946 arriva il diritto di voto . Legittimate ad esistere le donne cominciano a ritagliarsi ruoli impensabili in passato. La pubblicità si affida ad un’immagine di casalinga e di cuoca perfetta, che oggi ci fa sorridere. Sorridere sollevate e grate alle generazioni di nonne e mamme di fronte alla divertente istallazione costruita da spezzoni di pubblicità degli anni 50 con tante Belle Olandesine. Nella sala accanto il cinema esalta la bellezza, l’erotismo soft, del corto di Alberto Lattuada “Gli italiani si voltano del 1953” trama dei sogni proibiti e dei desideri maschili. Arrivano gli anni sessanta: periodo della svolta, dei grandi cambiamenti sociali. In politica, con Tina Anselmi ministro del lavoro (76) e Nilde Iotti presidente della Camera (79).E nel potere giudiziario. Nel 63 si apre alle donne l’accesso alla magistratura. Il movimento femminista chiede e ottiene divorzio e aborto negli anni 70. Ma il diritto d’onore resiste incredibilmente fino al 1982. Il resto è storia recente. Forse non c’è bisogno di ricordare chi sono o sono state Rita Levi Montalcini e Oriana, Fallaci, Margherita Hack, Livia Pomodoro, Ilaria Alpi ed Emma Marcegaglia. Ma è importante ricordare che in Italia il tasso di occupazione femminile è ancora il più basso d’Europa.”Ben venga allora il messaggio che alcune donne famose oggi hanno registrato nell’ultima sala: “Auguriamo che le bambine di domani possano scegliere chi diventare”. A pensarci bene possiamo dire che ciò che accomuna queste donne è proprio questo, l’aver scelto chi volevano diventare. La mostra, che si fregia del simbolo ufficiale per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, è promossa dalla Fondazione Palazzo Blu, *con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa e con il patrocinio del Ministero per le Pari Opportunità, della Regione, Provincia e Comune di Pisa*,organizzata da Giunti Arte mostre musei e ideata e curata da Claudia Beltramo Ceppi.

Mostra: Donne d’Italia. La metà dell’Unità”
Dove: BLU | Palazzo d’Arte e Cultura Lungarno Gambacorti, 9. 56125 Pisa. t.+39 050 916 950
Quando: dal 16 marzo al 26 giugno
Orari e biglietti: Le collezioni della Fondazione CariPisa e le Mostre Dossier sono visitabili dal martedì al venerdì 10-13/ 16-22; sabato e domenica 10-13/16-23 (ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura). L’ingresso è gratuito.
Testo e foto Giulietta Bracci Torsi
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