In Nepal nella valle di Kathmandu

La highway per Bhaktapur è un’esperienza in sé, da prendere con cautela. E in Nepal si guida a sinistra, come se ci fosse bisogno di complicare ulteriormente le cose. Non esiste segnaletica e bisogna continuamente chiedere informazioni. Ma una volta centrato l’abitato è impossibile mancare la medievale Durbar square. La splendida piazza dei templi attrae verso di sé con una forza gravitazionale da tutte le vie circostanti, tanto che diventa quasi difficile separarsene. In questa polverosa cittadina a un’oretta di strada da Kathmandu i vecchi parlano ancora l’antica lingua newari all’ombra di antichi templi a pagoda alti fino a cinque piani. Il colore bruno dei mattoni è il fondale ideale per i coloratissimi sari che le donne indossano con un’eleganza sconosciuta agli uomini, e se il cielo è limpido la vista dell’Himalaya mozza semplicemente il fiato. Anche Bhaktapur però non è più quella che si trovavano davanti i freak che calavano a frotte negli anni dei fiori, anche qui i carretti sono stati da tempo sostituiti dalle motociclette di fabbricazione indiana e cinese.

Il fumo invade lo stretto corso del Bagmati e i ghat, le gradinate che s’immergono nell’acqua, ma non è l’incenso a bruciare. La cremazione dei corpi avviene, dopo aver bagnato le spoglie nel fiume sacro, su grosse pire costruite nel tempio di Pashupatinath. La cenere si posa sulle pietre e sui vestiti e l’odore acre può essere un’esperienza troppo forte per i delicati nasi occidentali. Ma non disturba né i numerosi pellegrini impegnati nelle liturgie a pelo d’acqua o nelle abluzioni, né le scimmie intente a rubare le offerte di cibo a Shiva. Sono sacre e si comportano da tali, aggressive e per nulla intimorite dalle reazioni poco rispettose dei fedeli scippati. Il tempio nella periferia sud di Kathmandu è il più importante di tutto il Nepal e attira folle di pellegrini dall’intero subcontinente, ma anche turisti da tutto il mondo. La cremazione dovrebbe essere un momento di raccoglimento intimo per i parenti del defunto ma questo non impedisce a una piccola folla di stranieri vestiti come se andassero a scalare l’Everest di radunarsi sulle gradinate della sponda opposta e tirare fuori teleobiettivi grossi come telescopi. Le vesti colorate dei familiari non dovrebbero far dimenticare che ci si trova difronte a un funerale.

Quando il sole si abbassa sulla valle i suoi raggi arrossano le pagode degli infiniti templi, il traffico sputa gas venefici sulla ring road e il clangore dei clacson sovrasta il suono dei cimbali, i turisti stranieri affollano i ristoranti di Thamel e i sadhu contano il frutto di un’altra giornata di elemosina. Kathmandu cambia senza mai cambiare veramente.

Testo e foto di Danilo Elia

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