PICCOLEITALIE
Una mamma approda su un’isola piccola e aspra: Palmaria. A breve nascerà il suo primo figlio e lei non può far altro che pensarlo.Così, senza sforzo apparente, ogni cosa le si trasforma tutto intorno. Le isole del golfo che abbraccia La Spezia, non lasciano spazio a citazioni letterarie o a ricordi di poeti che pure lì soggiornarono. Affatto. Da una roccia, spunta invece a un tratto un draghetto, il Drago Tarantolino, che ognuno può immaginarsi come crede, ma certo fa simpatia anche solo a pronunciarne il nome. A Palmaria non c’è quasi nulla, se non un assordante silenzio, qualche rudere, case sparse e un bar quasi a filo d’acqua, eppure a lei che cammina sui sassi in bilico, immaginando il futuro, la chiassosa Porto Venere, appare come l’altra sponda, il lontano da dove, l’altrove. Perché il centro di tutto lo porta con sé, il resto alla fine è solo cornice. Ecco allora che si inventa una favola che racconti del Drago sognato da bambina, per il suo bambino che ancora non c’è eppure è già il fulcro di una vita nuova che lei sente e sa sta per iniziare quanto prima per entrambi. Palmaria come uno specchio che nel suo poco riflette il molto, il futuro che ancora non è stato neanche pensato. Palmaria, splendida isola ligure, da immaginare di visitare una volta almeno nella vita, per poi poterla ricordare, proprio come il Drago Tarantolino in lotta con l’eremita Venerio diventato piccino. Elisa Davoglio, poetessa e narratrice, sta lavorando al suo secondo testo dopo l’eccellente esordio per Mondadori del romanzo: Onore ai diffidati. Nel frattempo è diventata mamma.
A cura di Manuela La Ferla
Palmaria e il Drago Tarantolino
Mi piacciono i Draghi. Ecco perché a Palmaria ho cercato le tracce di un Drago leggendario, quello che con un portentoso colpo di coda frantumò la costa del Golfo spezzino, dando vita a un arcipelago di isolette prima di finire ucciso dall’eremita Venerio.Il nome Venerio ha la stessa radice di Venere, e penso che tra questi due, Venere e Venerio, corra la stessa distanza che separa Porto Venere e l’isola di Palmaria; la distanza di un braccio di mare liscio, percorsa solo dalle barchette che fanno spola tra l’isoletta e il porticciolo dove sonnecchiano gli Yacht. Questa

distanza non si può percorrere a nuoto, tranne che il 13 settembre, giorno del santo Venerio. A Palmaria ho visto il Drago, anche se assai rimpicciolito. Lo chiamano Tarantolino ed è un piccolo geco molto veloce. L’ho incontrato mentre correva svelto lungo la facciata di una costruzione dismessa, accanto all’ex carcere militare Umberto I. Il Tarantolino è sgusciato dentro lo smunto spazio in cui io potevo solo gettare un occhio. Sedie impilate e vassoi da mensa erano sistemati un po’ ovunque, quasi impeccabili nel loro marrone, macchiato solo dal soffio di polvere bianca scivolato giù dal soffitto semi franato. Mi sono ricordata del mio asilo, di quando a Natale decoravamo di cotone bianco, bianco come neve, i nostri grembiulini luttuosi. Sull’isola invece era piena estate, avevo appena percorso un sentiero di mirto dopo aver passato la mattina a nuotare attorno all’isola e a cercare grotte. Cose da adulti, ma non nel pomeriggio; se cercavo il Drago ero ancora una bambina. Nella fuga del Tarantolino i bicchieri di vetro rimanevano in equilibrio sulle mensole e non parevano abbandonati, ma in attesa di crescere. A Palmaria, cullata dal riverbero di Porto Venere sull’acqua del mare, ho scritto la storia di un Drago, per dedicarla a mio figlio che doveva nascere di lì a poco. Aspettavo che chiudesse al tramonto l’unico bar dell’isola e andavo in acqua. Camminavo, in equilibrio sui sassi, anche io quasi di vetro, e aspettavo che il mio bimbo crescesse. Il porticciolo di Porto Venere era acceso e chiassoso, l’isola quasi muta, riparata dalla vegetazione che pareva ostile, chiusa a proteggere la meditazione di un eremita e il sonno delle capre. Nella mia storia il Drago si mangia Venerio e a quel punto diventano amici. L’eremita, chiuso nel largo ventre del Drago, gli chiede di rimpicciolirsi per non spaventare i bambini e, prima che il Drago diventi un Tarantolino, sguscia fuori dalla sua bocca.
Elisa Davoglio
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