Lapponia svedese. Alla ricerca delle aquile reali

Nel cuore della Lapponia svedese un uomo, chiamato the Eagle Man, ha dedicato gran parte della vita a studiare l’Aquila Reale. Avvistarla richiede calma e pazienza, che vengono però ogni volta ripagate con uno spettacolo unico al mondo.

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Silenzio. Silenzio assoluto. L’unico rumore è quello delle stelle che sfidano i cristalli di ghiaccio in un impossibile duello di scintille. Ma noi, ovviamente, non possiamo udirlo.

Ci sono oltre venti gradi sotto zero alle cinque di mattino, quassù, in questo bosco magico nel centro della Lapponia svedese. Ma non sentiamo per nulla il gelo. L’aria è cristallo purissimo, l’umidità un cattivo ricordo del nostro inverno mediterraneo. Anche qui è inverno ma il freddo è terso come questa notte stellata.

Poi, prima impercettibile poi più distinto, qualcosa s’insinua nella quiete della notte. No, non qualcosa, ma qualcuno: Conny Lungstrom sta arrivando qui, al limitare del bosco, camminando lentamente sul sentiero ghiacciato ed ogni passo è un piccolo insulto al silenzio.

Conny è “The Eagle man”, l’Uomo Aquila della Lapponia svedese. Fotografo e naturalista assai noto in Svezia e non solo, ha dedicato gli ultimi vent’anni della sua vita allo studio degli animali che vivono nelle foreste del nord, con particolare attenzione alla Golden Eagle, l’Aquila Reale.

Con una spettacolare foto di questo rapace, nel 1999 ha vinto il Wild Life Photographer of the Year, la più importante competizione per fotografi naturalisti del mondo.

Oggi Conny ci sta conducendo alla sua postazione fissa in mezzo al bosco, una capanna ben organizzata dove attenderemo anche noi l’arrivo del rapace e di altri uccelli nordici.

La Golden Eagle, ha spiegato Conny, è molto diffidente e si avvicina all’appostamento solo quando è certa di non correre pericoli. Per questo motivo dovremo arrivare di notte e non potremo andarcene se non dopo che avrà fatto buio. Se anche una sola volta dovesse notare movimenti sospetti, non tornerebbe mai più da queste parti.

Ed eccoci qui, prima dell’alba, ad incontrare questo formidabile personaggio e seguirlo nel bosco fino alla sua capanna. Ci sono molte probabilità che una o più aquile si avvicinino, dice Conny mentre camminiamo in un angusto sentiero di ghiaccio, ma la certezza non c’è mai. Qualche settimana fa, un naturalista giapponese è rimasto tre giorni e tre notti nel rifugio prima di riuscire a scattare delle foto.

Conny è fuori, intento a sistemare le esche: alcuni pezzi di carne d’alce e qualche uccello morto adagiato sulla neve a pochi metri dalle finestre oscurate, atraverso le quali stiamo piazzando i nostri teleobiettivi.

Una vecchia stufa brucia furiosamente e, in breve tempo, la temperatura all’interno diventa gradevole. Ed è un bene, perché ormai s’è fatto giorno e d’ora in poi dovremo prestare la massima attenzione a quello che accade fuori.

Inizia l’attesa.

Per qualche tempo tutto resta come ci è apparso nella prima luce dell’alba, gelido ed immobile. Arriva poi un picchio rosso. saltella da un ramo all’altro e, finalmente, si ferma sul tronco proprio davanti a noi e inizia il suo lavoro. S’interrompe quando un grosso corvo sembra minacciarlo ma poco dopo i due uccelli, ignorandosi, convivono a breve distanza. Arrivano anche alcuni ciuffolotti e una ghiandaia.

Il tempo passa, ma non c’è rischio di annoiarsi, Conny ha molte cose da raccontare, fra una tartina scaldata sulla stufa, un caffè ed alcuni deliziosi dolcetti fatti in casa.

Restiamo increduli quando apre il PC portatile e si collega ad internet, lì, in quella foresta in mezzo al nulla. Ci sentiamo del tutto a nostro agio ma dell’aquila non c’è ancora traccia. Le parole di Conny s’affacciano fastidiose alla memoria: “ un naturalista giapponese è rimasto tre giorni e tre notti…

Intanto parliamo di questa terra e della gente che la popola, senza perdere di vista l’oculare della macchina fotografica, che è l’unica finestra sull’esterno, in quanto tutto il resto è accuratamente oscurato.

Ci perdiamo nelle storie e nei miti del popolo Sami, un tempo nomadi orgogliosi della propria libertà ed ora, che sono diventati stanziali, gelosi custodi delle antiche tradizioni.

L’amore per la natura forgia la vita di tanti di noi, dice Conny. E’ il caso di Thorbjorn Holmlund, ad esempio, un eccentrico personaggio che ha dedicato la vita all’alce. Da piccolo, invece di frequentare la scuola, scappava nei boschi a rincorrere i grossi mammiferi.

Da grande continua a farlo, portando, in inverno, i suoi ospiti a scoprirli a bordo delle motoslitte. Ora sta costruendo un albergo che entrerà nel Guinness dei Primati. Sorge su un’altura, sarà alto 40 metri e avrà la forma di un gigantesco alce. Ma d’improvviso la conversazione cessa bruscamente, l’ospite tanto atteso è arrivato.

Una grossa aquila reale volteggia sopra di noi, s’appoggia per qualche minuto ad un ramo lontano e poi plana maestosa fino al tronco su cui è fissata l’esca. Si guarda intorno, nervosa e circospetta, poi comincia a mangiare. Strappa un pezzo di carne e s’immobilizza, ruota il capo, scruta l’ambiente. Ingoia. Di nuovo stacca un frammento di cibo dalla carcassa e ancora gli occhi fiammeggiano alla ricerca di un potenziale pericolo. Mangia.

Continuerà così per oltre un’ora, mentre le macchine fotografiche non cessano di scattare, silenziose il più possibile, e noi con loro, ammutoliti a contemplare da pochi metri il formidabile predatore intento a nutrirsi.

Più tardi, quando ormai le ombre della sera stanno allungandosi sul bosco, ormai sazia e sicura di sé, l’aquila spicca il volo e, prima di sparire all’orizzonte, gira il capo verso la baita e sembra guardarci con ironia, quasi volesse farci capire che lei, la regina dei cieli, aveva capito benissimo che noi eravamo lì.

Forse non è così, ma quassù, fra questi boschi dipinti dal ghiaccio, tutto è davvero possibile.

Testo di Pier Vincenzo Zoli. Foto di Mauro Camorani

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