PICCOLEITALIE
Un nuovo anno che inizia, un nuovo autore da scoprire. I testi di Antonio Carbone sono come le sue parole su Maimoiada: pastosi, caldi e leggeri insieme, sempre autentici, mai forzati, non hanno l’urgenza di dire e narrano della vita come accade, così, quasi per caso. Programmista Regista per Raitre, ha lavorato a Mi manda Raitre, Enigma e Babele, ora è in prima linea con Un giorno in pretura. Nel frattempo ha all’attivo già due romanzi: è acqua di sole e il seme. Titoli entrambi ben auguranti, che fan pensare a una vita che dalle radici si apre fiduciosa verso ciò che non immagina neppure. La ricorrenza, proprio a gennaio, della bella processione di Mamutones, non è solo una concidenza, è anche un’invito a fare un breve viaggio alla scoperta di un luogo davvero magico, fuori dal periodo festivo, quando i veri viaggiatori partono e i veri scrittori si innamorano dei luoghi che incontrano e qui raccontano.
Manuela La Ferla
I falò nella notte
Arrivarci non è stato difficile. Da Cagliari, si sa, una sola è la strada per raggiungere il Nord dell’isola. Una carrozzabile si sarebbe detto una volta e, sebbene sia larga e per lunghi tratti a scorrimento veloce, questa è l’impressione che ancora si ha percorrendola. Non appena ci si lascia alle spalle la fertile pianura del Campidano, prende il sopravvento il paesaggio aspro e scabro che più si associa a questa terra misteriosa e remota ma mai ostile.
All’altezza di Abbasanta c’è poco da scegliere: proseguendo si arriva a Sassari, luogo che più di ogni altra cosa evoca le imprese della omonima Brigata durante la Grande Guerra. Curvando a destra, in direzione di Nuoro, in pochi chilometri si arriva invece diritti alla meta dopo gli ultimi tornanti in salita. “Viene la notte: ma il cielo ha ancora un chiarore colorato, una lunga, persistente luce livida che tinge le distanze, e le chiude in mura d’aria che pare isolino dal mondo il paese assediato.“
Sono le cinque del pomeriggio e la luce qui a Mamoiada non è molto diversa da come la descrive Carlo Levi nei suoi racconti di viaggio in Barbagia. In giro non c’è già più nessuno, sono tutti alle prese col fuoco. Nei cortili, sull’aia delle case, nei crocicchi, davanti al sacrato delle chiese è tutto un aggrumarsi di uomini, donne, bambini e legna che comincia ad ardere e a fare fumo. Più radici che tronchi. Non sai quasi da dove cominciare tanta è l’eccitazione.
Allora provi solo a seguire l’istinto. Ti fermi, prendi posto nei crocchi di persone che presidiano il fuoco e per un attimo ne condivi il silenzio e il vino rosso nei bicchieri che passano di mano in mano. “Bruciano bene queste radici” commenta qualcuno. Annuisci e il pensiero inevitabilmente va non solo a quelle degli alberi. Poi te ne allontani mosso dalla curiosità di raggiungerne altri. Fino a quando arrivi nel punto più alto del paese.
Nel lucore di ciò che resta del giorno, provi a contarli i falò. Saranno una trentina. Infondono una certa tensione al paesaggio. Se non fossi consapevole che si tratta di un rito che si rinnova ogni anno in attesa della processione dei Mamutones del 17 gennaio, ti verrebbe quasi il sospetto che possano essere stati causati da un’improvvisa emergenza che ha fatto precipitare le persone fuori dalle proprie case. “Mamutones”, è questa la parola che passa di bocca in bocca quasi con il tono di chi condivide un segreto.
E’ inutile cercare di risalire all’origine – maschere simili sono presenti anche sull’isola di Skyros, in Tracia e persino in Dalmazia – da qualsiasi punto parti è probabile che si arriva ad altrettanti pastori che si sono tenuti sempre lontani dal mare, sebbene non siano poi così distanti da non poterne percepire gli influssi. Passando per vicoli nuovi, ti affretti a metterti al riparo dal vento che guadagna vigore dal vuoto in cui niente gli si oppone. Torni a casa e nell’ombra della sera ti sembra di avvertire già la presenza delle maschere tenebrose che il giorno dopo danzeranno davanti a ogni fuoco, facendo risuonare a unisono i campanacci di bue che portano sulle spalle. Come se, a mano a mano che la luce scende di tono e la notte si rapprende, fosse inevitabile non riuscire più a distinguere un uomo da un vecchio caprone peloso.
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