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Nel cuore dell’Asia centrale vive la Repubblica dell’Uzbekistan, dove cirillico, russo e usbeco si mescolano delineando i confini di un Paese che fino a pochi anni fa apparteneva all’Unione Sovietica e oggi forma uno stato indipendente. Gli intrecci linguistici ben riflettono la condizione di questo alchemico amalgama di culture: l’usbeco dal 1992 è tornato a basarsi sull’alfabeto latino, abbandonando il cirillico, mentre la folla mescola volti scolpiti da dominazioni e guerre tra le città di questo Paese dove la libertà è un gemito di sangue che svanisce nel silenzio incontrastato delle steppe.
Un tempo le aride steppe del Kyzylkum videro il dominio di Alessandro Magno, ma durante i secoli IX e XII la stirpe turca si garantì il controllo del territorio, sebbene l’avanzata mongola fu all’origine del regno del Chagatay. Ma è il territorio votato al deserto il centro di potere di città nate lungo le vie carovaniere: un deserto che lascia affondare tra manciate di terra secca gli scheletri senza nome dei viaggiatori temerari mentre antichi mari, come l’immenso specchio del lago d’Aral, si trasformano in laghi e architetture millenarie si sfaldano nella polvere degli imperi che crollano.
Tashkent, la capitale, si trova nel cuore di un’oasi irrigata dai fiumi Circik e Keles: un tempo fu la quarta città dell’Unione Sovietica per dimensioni e numero di abitanti. Il devastante terremoto del 1966 ha scalfito il patrimonio cittadino, tuttavia la sua bellezza si ritrova nel dedalo intricato di strade dell’eski shakhar, la città vecchia, dove le case di fango e mattoni si affacciano nella polvere e le accademie islamiche, le antiche madrase, svettano incolumi, risparmiate dalla furia distruttrice russa. Oggi i lavori di restauro della madrasa di Kukeldash sono ancora in fase di attuazione, mentre moschee come quella di Jami, risalente al XV secolo, rifulgono di colori preziosi. Imperdibile un’immersione al bazaar Chorsu, un enorme mercato all’aperto da attraversare perdendosi nella polaroid sfocata dei volti degli artigiani che si mescolano alla folla dove razze di caucasici, coreani, tartari e russi si incrociano in spiragli di sorrisi enigmatici, tra cataste di frutta e vasi avvolti nel profumo invadente delle spezie.
Non molto lontano incontrerete la Madressa di Kukeldash, la più importante della città, oggi trasformata in impianto museale, e se il tuffo nella storia non vi basta sappiate che qui nella capitale si trovano i principali musei dell’Uzbekistan, dal Museo delle Belle Arti al Museo delle Arti Applicate. Perdetevi nelle atmosfere della Tashkent antica, notevolmente diversa dagli edifici costruiti dopo il terremoto del 1966: la maggioranza della popolazione uzbeka è musulmana sunnita e molti edifici sono proibiti ai non musulmani, tuttavia luoghi come il Mausoleo di Kaffali-Shash o il complesso di Khast Imom sono capaci di rievocare una storia antica e non priva del richiamo amniotico di un incatesimo surreale.
Pensate che nella quattrocentesca Moschea Juma un tempo si giustiziavano le mogli infedeli: oggi rimangono, come edere arrampicate al blu di un cielo turchese, le altissime mura, chiuse nel silenzio di segreti eterni. E se il trascolorare dolce dell’ora del tramonto inizia a pizzicare le corde dell’anima, dirigetevi di buon passo verso il Teatro dell’Opera Alisher Navoi: troverete balli e musiche uzbeche, per gustare, al prezzo di un biglietto d‘ingresso modesto, spettacoli di balletto ed opera ogni sera.
Patria di eroi mitici, conquistatori e viandanti, emiri di inaudite ricchezze e viaggiatori vestiti di stracci con tasche ricche di mappe, incantatori e commercianti, l’Uzbekistan vive nel tragitto di una Via della Seta disegnata da chilometri, carovane e il sogno di arrivare un orizzonte più in là, verso la cupola turchese di una città destinata a spezzare l’incantesimo monotono della steppa, che frantuma la sua continuità nella roccia di montagne incontrastate.
I bacini fluviali di Zeravšan e Syrdar’ja o l’Amudar’ja riflettono le solide fila di catene montuose dove la neve non cessa mai di cadere e l’enclave tagika separa l’orizzonte della pianura del Fergana dalla capitale Taškent. Amate la bicicletta? Se avete buoni polmoni e non vi manca la voglia di gareggiare con una natura crudele e magnifica, potrete inseguire le tracce degli antichi viandanti percorrendo la Via della Seta a cavallo della vostre due ruote preferite. Trekking, escursioni e scalate vi attendono sui monti Gissar, Matcha e Turkestan, mentre la riserva naturale di Chatkal vi offrirà il blu di paesaggi lavati nel sole e strizzati nel vento, levigati da un’aria così tagliente da farne smeriglio. Non dimenticate di penetrare nel fascino dell’antica miniera d’argento e per chi ama fare i conti con l’adrenalina un corpo a corpo con le pareti rocciose verticali sulla cresta del Matchi è d’obbligo, tra snowboard e free climbing.
Da tempo immemorabile Samarcanda appare, velata e misteriosamente abbagliante, la regina del deserto, ancora solidamente abitata dalla presenza immateriale di Tamerlano. Crocevia di storie, culture, visi e destini, Samarcanda è l’antica capitale del regno di Sogdiana, fondata nel V secolo. Ma più di ogni altra cosa è il luogo di sogno di un viaggio fantastico, dominato dal volto angelico di incubi che appaiono nel presagio di maghi e incantevoli leggende, mentre il mito intesse il reale dando vita al sottile gioco di un arabesco dove Genghis Khan appare da lontano, insieme a spettri di eserciti inarrestabili.
Il simbolo di Samarcanda è il Registan, la cui etimologia parla di un palazzo della sabbia e in epoca medievale luogo di commercio. Non perdetevi lo spettacolo di oro e turchesi dell’osservatorio di Ulugbek, con l’immenso astrolabio quattrocentesco di 30 metri. La suggestiva tomba di Shahi-Zinda insieme all’area archeologica di Afrasiab narra le vicende più antiche della città, mentre, poco lontano, il mercato più importante della regione dispiega tesori che che hanno scritto la storia dei commerci a livello mondiale. Posta sull’antica rotta della seta, Samarcanda divide e lega Europa ed Asia, con un filo capace di attraversare le massicce architetture di arte islamica, un filo che lega e imprigiona la polvere delle spezie, chiuse in sacchetti come preghiere segrete, portatrici di ricchezze e stupore. Un filo che si ritrova nei mercati e nella faccia spiegazzata di genti dalle mille culture, nate in un Paese a metà di tanti, educate dalla mano forte di una natura impietosa e feroce.
Dal 2001 l’Unesco annovera la città vecchia di Samarcanda tra i Patrimoni Mondiali dell’Umanità: la Madrasa di Ulu? Bek, terminata nel 1420, insieme alla Madrasa Sherdar, Tilla-Kari e la Moschea di Bibi Khanum si innalzano, nell’algida nobiltà che le contraddistingue, spiccando nel tessuto cittadino e se vi trovate nei dintorni non dimenticate una visita al Mausoleo di Tamerlano, nel cui interno sono conservati i resti di Tamerlano. Pensate che questa lapide è considerata il pezzo di giada più grande al mondo.
Il mercato vi ha messo appetito? Come sempre la cucina è lo specchio più autentico di un popolo, per questo le ricette uzbeche non possono che essere antichissime, colme di sapori appartenenti a tradizioni diverse, ricche di odori inconfondibili. Agnello, manzo, montone alla brace e cavallo, olio di semi di cotone per friggere, insieme al grasso di coda di pecora, cipolla, spezie ed erbe: il tradizionale plov, fatto di carne e riso, si cucina così e riassume uno dei piatti più tipici dell’Uzbekistan, che palpita tra odori di cumino, coriandolo e aneto. Il katik, yogurt, viene utilizzato come salsa, insieme al tè bollente, che qui accompagna ogni pasto.
Ricette nate lungo le vie carovaniere, mentre all’orizzonte si stagliano i profili incerti di città come Bukhara, l’antica capitale dello stato samanide e Khiva, secondo la leggenda fondata oltre 2500 anni fa da Sem, mentre il figlio di Noè scavava un pozzo, un tempo centro di vendita dei prigionieri schiavi persiani e russi. Appaiono all’orizzonte con le loro madrase, i mercati affollati di stoffe colorate e spezie, l’atmosfera intramontabile e indescrivibile dei bazaar. A Bukhara oltre 140 edifici sono tutelati dall’Unesco: un tempo centro di istruzione islamico, oggi la città è un immenso mosaico a cielo aperto, dal fascino prezioso quanto l’artigianato di Baysun, dove le donne indossano ricami dalle trame complicate e ogni casa possiede un forno d’argilla per cuocere la farina per il pane. E il profumo del pane si perde nell’aria dove già appaiono le steppe, mentre nelle cucine le mani impastano e il deserto lancia richiami che risuonano nel vuoto.
Testo di Maddalena De Bernardi. Foto di Marco Giudici Cipriani
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