Nello scenario incantato ai piedi delle Dolomiti, una passeggiata sulla neve è il modo migliore per vivere la magia dell’Alto Adige e immergersi nella natura immobile e bianca della valle, lontano dalla frenesia della città.
La temperatura è sempre più fredda, mentre l’auto si arrampica in questa stradina tortuosa tra i pendii innevati e, con il naso contro il finestrino, riesco a scorgere le vette dell’alta Val Passiria bucare le nuvole.
Lassù, c’è Plan: un paesino a 1600 metri nel parco naturale del Gruppo Tessa, sull’ultimo lembo di Alto Adige al confine con l’Austria. La località è conosciuta dagli amanti degli sport invernali, perché nei 10 chilometri di tracciati che attraversano l’estremità della valle, la neve non manca mai.
Da lontano si vedono dei puntini scivolare sulle piste appena spianate, esili figure danzanti che si lanciano leggere sulle lamine di lunghi sci. Arrivati al paese, dobbiamo parcheggiare in un piazzale e continuare a piedi. Niente smog in questa isola pedonale dove il tempo si è fermato: solo ciaspole, scarponcini imbottiti, sci, slittini e cavalli. Mentre gruppi di gente colorata dei toni più sgargianti ci passano davanti con gli abbonamenti in mano, ci avviamo all’ingresso del paese.
Un cartello di legno annuncia l’inizio del sentiero Lazins Spronserjoch, dal nome del rifugio dove siamo diretti. Percorrendo tutto il tracciato, a oltre 2500 metri d’altezza, si arriva al passo Sopranes, dove ci sono ben dieci laghi d’altura, il più esteso gruppo lacustre della regione. Soprattutto nella bella stagione, frotte di escursionisti si avventurano lassù per riempirsi gli occhi con queste pozzanghere giganti incastonate tra le montagne.
Non arriveremo così in alto, purtroppo. Solo una passeggiata tranquilla nella neve.
Il gruppo si disperde rapidamente lungo la stradina circondata da abeti addobbati di candido ghiaccio immobile. Cercando di non scivolare, m’immergo in questo silenzio piacevolmente ovattato ai piedi della montagna: aumento il ritmo e sento il rumore della farina che resiste compatta a ogni passo. Blocchi di vapore denso mi escono dalla bocca, mentre raggiungo un ponticello in legno che attraversa un ruscello frusciante arrampicato tra foglie e sassi scuri spruzzati di bianco.
Da lontano, un rumore di briglie e zoccoli pesanti rompe la quiete della montagna: sbuca da una curva a gomito una coppia di cavalli sbuffanti che trainano una carrozza di turisti e si addentrano nel bosco, veloci. La slitta è il mezzo di trasporto più gettonato da queste parti e anche noi ne prenderemo una, al ritorno.
Passo una curva e uno scenario da sogno mi ruba il fiato: il sentiero si apre verso una distesa di stracciatella, mentre le nuvole si disperdono pian piano in un’aura morbida tra il giallo e l’azzurro intenso. All’orizzonte, il sole fa capolino dalla Hohe Wei?e, il massiccio che impera al centro di una raggiera di valli profonde.
Oltre un fiumiciattolo d’acqua densa, c’è l’accogliente rifugio Lazins. Sembra di entrare in un villaggio: casette di pietra e larice, una stalla fumante di animali, pile di legna da ardere, bambini che giocano nella neve.
Un tepore casalingo ci accoglie appena entriamo nella stube addobbata di quadretti tirolesi. Una bionda sorridente arriva dalla cucina con un vassoio di bicchierini alla sambuca: un grappino è il modo migliore per combattere questo freddo insidioso.
“Zum wohl”, “alla salute”, ci auguriamo, mentre le guance si tingono di rosso e il viola delle labbra ritorna naturale. Buttando giù a piccoli sorsi questo nettare rotondo e trasparente, Magdalena racconta la storia di Andreas Hofer, il patriota altoatesino cresciuto in Passiria, che a capo degli Schützen tirolesi, proprio su questi monti si scontrò con i francesi all’inizio del 1800.
Finita la merenda, usciamo nel buio gelido che è ormai sceso pesante insieme al sole. Siamo pronti per la slitta. Con una copertina sulle ginocchia, mi siedo in prima fila vicino a Alberich, il kutscher che guida la nostra carrozza da neve. Pronti, via. La cavalla Haflinger dalla criniera dorata parte nel buio verso la strada che conosce ormai a memoria. “Si chiama Vera, è una femmina” dice Alberich, mentre corriamo nel blu.
Cambiata la luce, sembra di essere in un altro posto. I punti di riferimento si confondono tra i pendii, gli alberi minacciano ogni curva, le distanze si dilatano. Ma Vera è forte e non si lascia ingannare né dal ghiaccio né dall’oscurità del bosco dopo il tramonto.
Quando arriviamo a Plan, non c’è più nessuno. Le strade si sono svuotate e la vivacità di sciatori colorati di tute impermeabili e cappellini con il pon pon, è ormai un ricordo. Tre maestri di sci vestiti di rosso ci passano accanto, intenti a raccontarsi le loro giornate fatte di avanti e indietro sulle piste. Con loro, siamo gli unici rimasti in questo deserto di neve.
Il cielo sopra alle nostre teste si è riempito di pecorelle grigie, illuminate da una luna a palla. Monto in macchina come un razzo e mi accoccolo di nuovo al finestrino, mentre scendiamo per la valle, accompagnati dalle note allegre delle musiche tirolesi.
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Testo e foto di Giorgia Boitano
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