Passo dopo passo tra Argentina e Cile…
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“É davvero meraviglioso che una generazione che si difende dal caldo con un condizionatore e dal freddo con il riscaldamento centralizzato, che viene alloggiata in alberghi immacolati, possa sentire il desiderio spirituale o fisico del viaggio”, mai come oggi questa analisi di accecante saggezza, pronunciata da Bruce Chatwin, suona vivida e attuale. Scrittore, viaggiatore, libero pensatore: pronunciamo questo nome e l’ombra magica trasportata in un sussurro da queste due parole è il primo riferimento che balena nella mente al grido “Patagonia!”.
Un grido mentale, uno stiracchiarsi dell’anima, di fronte al dilemma misterioso di un luogo, la Patagonia, diventato paese mitico abitato dalla leggenda ancor più che territorio geograficamente delimitato. La Patagonia dimora sfocata, sorniona e persino lievemente randagia tra i meandri mentali dei viaggiatori, ma in realtà
vive dove la Terra del Fuoco si allunga verso i ghiacciai eterni e le grandi depressioni delle pianure steppiche dell’Argentina cercano con lo sguardo il profilo superbo delle Ande, sovrane solitarie del labile regno al confine tra Cile e Argentina.
Il navigatore Antonio Pigafetta, miracolosamente scampato alla spedizione di Ferdinando Magellano, narrò che l’intrepido esploratore diede nome Patagão, o Patagoni, agli abitanti di questa regione e se l’etimologia vi intriga sappiate che patagón fu una selvaggia e romanzesca creatura disegnata tra le righe dell’opera cinquecentesca Racconto di cavaliere errante dello spagnolo Francisco Vázquez. Sembra infatti che Magellano si spaventò a causa della considerevole altezza dei Tehuelche, le tribù autoctone di nativi americani che da tempo immemore vivevano tra queste montagne, dove i vulcani hanno plasmato la terra disegnandone uno sconfinato plateau in cui oggi lampeggiano laghi dalle pupille glauche in un turchino che non cessa di stupire.
Un grido mentale, uno stiracchiarsi dell’anima, di fronte al dilemma misterioso di un luogo, la Patagonia, diventato paese mitico abitato dalla leggenda ancor più che territorio geograficamente delimitato. La Patagonia dimora sfocata, sorniona e persino lievemente randagia tra i meandri mentali dei viaggiatori, ma in realtà

Il navigatore Antonio Pigafetta, miracolosamente scampato alla spedizione di Ferdinando Magellano, narrò che l’intrepido esploratore diede nome Patagão, o Patagoni, agli abitanti di questa regione e se l’etimologia vi intriga sappiate che patagón fu una selvaggia e romanzesca creatura disegnata tra le righe dell’opera cinquecentesca Racconto di cavaliere errante dello spagnolo Francisco Vázquez. Sembra infatti che Magellano si spaventò a causa della considerevole altezza dei Tehuelche, le tribù autoctone di nativi americani che da tempo immemore vivevano tra queste montagne, dove i vulcani hanno plasmato la terra disegnandone uno sconfinato plateau in cui oggi lampeggiano laghi dalle pupille glauche in un turchino che non cessa di stupire.
Alle pendici della Cordigliera delle Ande si trovano alcune delle terre più fertili della Patagonia, ogni anno
percorse da piccole folle di amanti del trekking che, scarpe come armi ben allacciate ai piedi ed entusiasmo in tasca, passo dopo passo avanzano nel miraggio di un segreto da appalesare al termine del viaggio.
Chi non teme la fatica potrà assaporare la sorprendente ebbrezza del Parco Nazionale Los Glaciares, creato nel 1937 per preservare le risorse naturali di questi territori selvaggi, che ancora oggi l’uomo fatica a strappare alla furia di una natura sovrana. Il parco nel 1981 è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco.
Qui i ghiacciai si formano a 1500 metri, nonostante l’altimetro di solito debba arrivare a 2500 metri: sono 47 i ghiacciai, oltre al fitto tappeto di foreste, le innumerevoli anatre che risalgono i torrenti gelidi e l’occhio timido e fiero dei cervi delle Ande. Los Glaciares ospita oltre 1.000 specie di uccelli, fra cui aquile e condor, ma soltanto un centinaio di esemplari appartenenti a questa esuberante fauna sono stati catalogati. Non stupitevi, dunque, se aguzzando la vista, scorgerete le forme non facilmente classificabili di un paio di ali senza sapere a chi appartengano: nel villaggio di El Calafate, dove è situata l’amministrazione del parco, potrete chiedere informazioni, ma non sperate di sfamare la vostra curiosità a tempo indefinito. In Patagonia esiste la muta meraviglia di un interrogativo per cui non esistono risposte. Dopo l’arrivo nell’aeroporto di El Calafate, spostatevi tra Lago Roca, Río Mitre, Glaciar Perito Moreno e El Chaltén, dove troverete la possibilità di avere informazioni, riposare e scambiare qualche chiacchiera con altri viaggiatori sorseggiando un’infusione di foglie di erba mate, la bevanda tipica di queste zone.
Il desiderio del silenzio alberga di nuovo in voi, vecchio diavolo tentatore? Prima di lasciare Los Glaciares, da El Calafate muovetevi inseguendo il sole, fino ad avvicinarvi al Lago Eléctrico e Laguna Torre: il sole si fa incandescente e se avrete occasione di vedere un arcobaleno siate pronti a riconoscere un filo teso tra gli abissi di cime accese nell’intimità dell’anima da un sole capace di scioglierne la roccia, scaldarci il cuore, svelarne lo spirito alle nuvole strappate dal cielo. Nella Laguna de los Tres basta fermarsi un attimo per sentire il palpito dell’ossigeno che entra ghiacciato in gola, dalla pelle ai polmoni, mentre l’abisso si increspa tra le pieghe della roccia e, oltre, prende il volo il blu di un orizzonte che la pupilla è incapace di contenere ma che si estende pieno di promesse di rivelazione e un timore inquietante ma vivo, a perdita d’occhio.

Chi non teme la fatica potrà assaporare la sorprendente ebbrezza del Parco Nazionale Los Glaciares, creato nel 1937 per preservare le risorse naturali di questi territori selvaggi, che ancora oggi l’uomo fatica a strappare alla furia di una natura sovrana. Il parco nel 1981 è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco.
Qui i ghiacciai si formano a 1500 metri, nonostante l’altimetro di solito debba arrivare a 2500 metri: sono 47 i ghiacciai, oltre al fitto tappeto di foreste, le innumerevoli anatre che risalgono i torrenti gelidi e l’occhio timido e fiero dei cervi delle Ande. Los Glaciares ospita oltre 1.000 specie di uccelli, fra cui aquile e condor, ma soltanto un centinaio di esemplari appartenenti a questa esuberante fauna sono stati catalogati. Non stupitevi, dunque, se aguzzando la vista, scorgerete le forme non facilmente classificabili di un paio di ali senza sapere a chi appartengano: nel villaggio di El Calafate, dove è situata l’amministrazione del parco, potrete chiedere informazioni, ma non sperate di sfamare la vostra curiosità a tempo indefinito. In Patagonia esiste la muta meraviglia di un interrogativo per cui non esistono risposte. Dopo l’arrivo nell’aeroporto di El Calafate, spostatevi tra Lago Roca, Río Mitre, Glaciar Perito Moreno e El Chaltén, dove troverete la possibilità di avere informazioni, riposare e scambiare qualche chiacchiera con altri viaggiatori sorseggiando un’infusione di foglie di erba mate, la bevanda tipica di queste zone.

Immancabile per gli appassionati del trekking in partenza per la Patagonia una tappa al Parco Nazionale Torres del Paine, che tempo fa è stato sciaguratamente devastato da un incendio. Patrimonio Unesco, questo ago di rocce granitiche si incunea nella Madre Terra da 12 milioni di anni: in questo luogo per millenni è stata la canoa, hallef, il bene più importante di comunità abituate a vivere di caccia e pesca, tribù esperte nel navigare per giorni sul fiume, con provviste di cibo custodito nel legno di imbarcazioni pronte ad accompagnarli fino alla morte.

Testo di Maddalena De Bernardi | Foto di Emanuela Colombo
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