Cocullo: il fascino magico dei serpari

La festa di San Domenico è un rito cristiano dal fascino un po’ magico. Le serpi sono le protagoniste, custodi di un antico e ambiguo ruolo.


Cocullo è un borgo di antiche tradizioni ed origini che arricchisce la rigogliosa terra d’Abruzzo. Situato tra la Valle Peligna e la Marsica, in provincia dell’Aquila, ha circa 300 abitanti e giace arroccato su un monte da cui sorveglia la piana circostante, protetto dalla vegetazione di cui sembra essere parte. Il villaggio conserva la sua struttura tipicamente medievale, con la piazza principale di fronte all’antica Chiesa della Madonna delle Grazie, dalla quale parte un labirinto di viottoli acciottolati e stretti vicoli. Da tempo immemore alle ore dodici di ogni primo giovedì di maggio, Cocullo si anima di serpi e persone in cerca di arcaici poteri terapeutici.

Il culto di San Domenico di Sora risale all’anno Mille quando il frate benedettino lasciò nella chiesa locale un suo molare e il ferro di una sua mula: il primo guarisce dal morso di serpente mentre il secondo protegge gli animali dai pericoli. San Domenico fu un abate benedettino vissuto a cavallo tra il X e l’XI secolo e fondò il monastero di San Pietro del Lago a l’Aquila e il monastero di Avellana nel Sangro. In Abruzzo le serpi sono comuni e un tempo erano causa di numerose morti. Il culto dei rettili risale ai Marsi, popolo di pastori e pescatori che vivevano sulle rive del lago Fucino e sulle montagne, che adoravano la dea Angizia, dea dei serpenti. I Marsi erano noti come guaritori e per il potere che avevano sui serpenti velenosi. La religione marsa scomparve durante il Medioevo ma le credenze sui poteri terapeutici dei serpenti sono arrivate fino ad oggi.

L’ambiguità del ruolo del serpente è chiara a tutti: amico o nemico? Nell’immaginario popolare ha sempre rappresentato il pericolo e il male ma ha assunto spesso una funzione positiva attraverso la figura del guaritore, lo stregone pagano che è in grado di toccare senza correre alcun pericolo anche i rettili più velenosi. I pellegrini che partecipano alla festa provengono dalle regioni dove il culto di San Domenico è più sentito: Molise, Campania e Lazio.

Mentre in chiesa si svolgono le liturgie religiose, altrove vengono messi in atto rituali dal valore simbolico: tirare con i denti la corda di una campanella per proteggersi dal mal di denti, spargere sui campi la terra raccolta nella grotta dietro la nicchia del Santo, per tenere lontani i pericoli o berla, sciolta nell’acqua, per combattere la febbre.

Nella piazza principale di Cocullo intanto i serpari attendono l’inizio della processione, facendo bella mostra degli esemplari che sono riusciti a catturare. Quattro sono le specie utilizzate durante la festa: il cervone, il saettone, la biscia dal collare e il biacco. Sono tutti esemplari innocui e i loro morsi provocano irritazioni senza conseguenze. Vengono cercati allo sciogliersi delle nevi e una volta catturati sono custoditi al caldo della crusca di farina fino al giorno del rito, per poi essere restituiti al proprio ambiente al termine della festa.

A mezzogiorno inizia la processione dietro alla statua del Santo trasportata a braccia da quattro persone. Ai lati, due ragazze in costume tradizionale portano sulla testa i ciambellani, pani sacri che verranno offerti ai portatori del simulacro e dello stendardo. Il corteo procede tra grida di gioia, musica, preghiere e raccomandazioni, immergendo i partecipanti in un’atmosfera senza tempo animata da santi e guaritori.

La marea umana invade le vie con devozione riappropriandosi delle proprie radici, con la speranza che un tocco fugace alla morbida pelle del rettile possa essere di protezione fino all’anno successivo.

Testo di Federica Giuliani | Foto di Adamo di Loreto

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