Il fuoco di Rocca San Casciano

Arriva un momento dell’anno in cui le colline cariche di nubi e promesse di germogli dell’Appennino forlivese si incendiano dell’onirica fiamma di un rito che si vota al fuoco: il fuoco, che cancella e riporta la verginità degli inizi, fiamma che scalda e avvampa di vita, lingua che graffia e distrugge, memoria di un tempo antico nel quale un buio sommesso ma inestinguibile affondava le campagne negli uteri oscuri.

Inizialmente prevista per il week end di venerdì 13 aprile, la Festa dei Falò 2012 quest’anno si terrà a Rocca San Casciano il 20, 21 e 22 aprile. La città del fuoco, come è nota Rocca San Casciano, guarda con occhi scintillanti la primavera che si stiracchia nel lento risveglio di fiori e profumi e, come ogni anno, mette in scena lo spettacolo dall’anima arcana di questo luogo arroccato, che sino agli anni Venti del Novecento fece parte del territorio toscano e in tempi attuali è ormai solido protagonista della provincia di Forlì-Cesena, immerso nel ritmo delle atmosfere romagnole. La Romagna del resto è terra avvezza a una sacralità che si intride della magia di notti lontane, in cui il mito brillava tra le fiamme danzanti dei focolari attorno ai quali  le fole passavano di bocca in bocca, narrando di maghi e aggiustaossa, valli stregate e leggende perdute. Oggi i palazzi cinquecenteschi di Piazza Garibaldi si confondono tra i portici e il profilo nobile della Torre dell’Orologio, restaurata due anni fa, e Palazzo Pretorio: S.Maria delle Lacrime conserva in silenzio il mistero della Madonna con Bambino ritenuta miracolosa dopo il pianto del 17 gennaio 1523, mentre la torre del Castellaccio, costruito dai Conti Guidi di Dovadola e quasi distrutto dal terremoto del 1661, resta orgogliosa e solitaria erede della Storia e simbolo di Rocca San Casciano.

Ben prima dell’epoca cinquecentesca in cui un giovanissimo re di Francia, Carlo IX, rese ufficiale come inizio dell’anno il primo giorno del mese di gennaio, la nuova annata veniva festeggiata in coincidenza con l’equinozio primaverile, quando già l’Impero Romano salutava con goia la generosa bellezza di Proserpina di ritorno dagli inferi, dove la tradizione la immaginava eternamente contesa tra l’amore del marito Plutone, dio votato all’oscurità, e l’affetto verso la florida madre Demetra, signora delle messi e magnanima protettrice dell’agricoltura. Tra marzo e aprile la regione si colora di nuova luce, mentre la neve si scioglie e il vento freddo lascia il posto alle brezze mattutine che per capriccio strappano i fiori ai rami di ciliegio.

Il fuoco diventa così azione purificante che scaccia le tenebre e i mali nascosti nell’ombra di disgrazia degli inverni felliniani e gelidi, promessa di calore di una bella stagione ormai in arrivo, atto di coraggio di esseri umani reduci da una preistoria ormai trascorsa eppure ancestralmente intatta, serbata nel profondo di una memoria cellulare che scorre nel sangue e si incendia di vitalità di fronte allo spettacolo incandescente di una fiamma. I rituali degli antichi baccanali romani oggi divampano nei pagghiara ragusani di Scicli e tra il legno delle sedie e i vecchi mobili da lasciar bruciare nella cerimonia dei roghi di Lezzeno, in provincia di Como, fino alle feste dedicate a San Giuseppe e i falò dell’Ascensione, che si rincorrono numerosi in tutto lo stivale, accendendo la nostra penisola di presagi di luce e tributi beneauguranti. A Rocca San Casciano il culto diventa rito collettivo, mentre lo spirito della festa rischiara la notte stellata in appassionate lingue di calore che fanno danzare le ombre sui muri, accendono le guance nella smorfia di un sorriso nato tra le brocche di vino e il senso di condivisione capace di unire l’intera comunità e non solo, quando i passanti giungono in questo borgo medievale al termine di un viaggio che ogni anno attira nuovi adepti e vecchie conoscenze ormai affiliate all’impagabile momento dei festeggiamenti.

La linea d’acqua del fiume Montone è la sottile linea di confine entro la quale i due rioni di Borgo e Mercato si sfidano, accendendo la diabolica immagine di due falò capaci di specchiarsi uno nell’altro, mentre le maschere danzanti assorbono la drammatica energia di un’estasi contemporanea e il ponte rivive la memoria di antiche battaglie che oggi non distruggono né impauriscono più. Le fiamme avviluppano i pagliai di ginestre, alti oltre 8 metri, e si lanciano verso le stelle, sfiorando altezze fuori dal comune: non esistono giudici a Rocca San Casciano, perché ogni anno sarà l’entusiasmo dei rocchigiani a decretare il migliore tra i due spini, come vengono chiamati nel gergo del luogo, lasciando che siano le fiamme stesse a parlare e attraverso la durata e la qualità a indicare il vincitore. Toscana e Emilia Romagna si fronteggiano e fondono ancora una volta, entrando nel vivo di una forma che se per Borgo è alla maniera romagnola, con un cilindro sovrastato da un cono, per Mercato è a guisa toscana: due anime diverse e condivise per un territorio che vive di ispirazioni multiple, mentre la valle del Montone lascia scorgere presagi dell’Appennino Tosco Romagnolo e le cucine si riempiono del profumo di salsicce, tartufi e aromi di Trebbiano e Sangiovese.

L’impeto primordiale rievoca le tradizioni contadine e, continuando i fasti di questa antica celebrazione, nel presente la memoria diventa arte di un fuoco che irretisce lo sguardo di bambini e adulti giocando con la pericolosa, ebbra magia di mangiafuochi e artisti: MangiaFalò, alla sua seconda edizione, innesca una gara tra mangiafuoco e giocolieri col fuoco. Moltissimi gli artisti in gara, che durante la sera precedente l’accensione dei falò squarceranno la notte esibendosi in una funambolica carambola di esercizi luminosi, mentre l’ars diventa raffinata azione di bellezza e riveste di ulteriori metafore le rive del fiume Montone, dove sembra che un tempo i falò fossero necessaria strategia dovuta alle frequenti inondazioni, fino alle feste settecentesche in cui ogni cortile era illuminato dal falò intorno al quale mangiare e danzare fino all’alba. Quando l’alba confonde il profilo degli ultimi spettatori e, si dice, solo le anime dei morti restano a scaldarsi davanti ai resti immensi dei falò, rimangono, ormai dimesse, le ceneri, alito di vita che ancora brucia ossigeno e passione. E se la luce mattutina azzittisce gli ultimi inquieti bagliori, si sa che ormai la festa è giunta al termine, ma non prima di aver riscattato, per un altro anno, il magico gioco di un sole ormai destinato a brillare alto insieme alla bella stagione finalmente riconquistata, grazie all’ardore di un ingegno umano che ancora sa, inspiegabilmente, sognare.

Maddalena De Bernardi

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