Couchsurfing: come viaggiare a impatto zero

Letteralmente significa “surfare da un divano all’altro”, ma nella realtà dei fatti è molto più di questo: il couchsurfing è una vera e propria filosofia di vita che si esprime attraverso il viaggio. Il meccanismo di base è molto semplice: offrire ospitalità a casa propria e in cambio poter usufruire della stessa ospitalità in ogni angolo del globo.

E’ sufficiente infatti accedere al sito Couchsurfing e creare un account personale (il servizio è totalmente gratuito) inserendo i propri dati e interessi, specificando poi il tipo di disponibilità che si intende garantire. C’è chi offre una stanza, chi un giardino per campeggiare, chi un divano, chi semplicemente un buon caffè e la propria compagnia per girare la città: l’importante è condividere, divenendo a tutti gli effetti un nodo di questa rete di scambio logistico ma soprattutto culturale, basato su valori condivisi dalla comunità dei couchsurfers. Anche la durata di accoglienza è molto flessibile e spazia dal tempo di una passeggiata a settimane intere di permanenza in loco, l’importante è accordarsi previamente stabilendo a monte i termini dello scambio.

Il progetto Couchsurfing nasce nel 2003 da un’idea del programmatore statunitense Casey Fenton. Il giovane vuole visitare l’Islanda e, avendo un budget limitato a disposizione, decide di entrare nella directory di un’università del posto e chiedere ospitalità a circa 1.500 studenti. L’appello viene accolto positivamente da una cinquantina di loro, che consentono dunque a Fenton di visitare il Paese spendendo poco e instaurando una rete di contatti e nuove amicizie. Forte di quest’esperienza positiva, al rientro dalle vacanze il programmatore decide di sviluppare il meccanismo di scambio tra internauti che ha appena testato su di sé, creando una piattaforma free che metta in collegamento tutte quelle persone che amano viaggiare in modo libero, aperto verso il prossimo, che non hanno problemi nell’adattarsi a nuove situazioni e che intendono il viaggio come un’avventura.

Negli anni il sito Couchsurfing è cresciuto fino a divenire un vero e proprio colosso del web, con milioni di utenti provenienti da circa 80.000 città sparse in 245 paesi del mondo. Di questi il 20% circa si trova negli Stati Uniti, ma anche Francia, Germania e Inghilterra vantano consistenti percentuali di iscritti. Il successo della community deriva soprattutto dal fatto che i couchsurfers non sono “utenti qualunque” iscritti passivamente ad un portale, ma sono parte integrante e attiva del progetto, persone che condividendo un divano o semplicemente mettendo a disposizione la propria compagnia alimentano un vero e proprio stile di vita basato sulla volontà di non essere intrappolati nei meccanismi imposti dal sistema turistico globalizzato ed alienante.

Per ovviare il rischio di incappare in esperienze negative, ogni utente del sito è sottoposto al giudizio diretto dei couchsurfers che ha ospitato o da cui è stato accolto in casa, mediante un sistema di recensioni e feedback che consente agli iscritti di conoscere in anticipo le persone con le quali avranno a che fare. Basti pensare che attualmente il 99,7% dei feedback sul sito è estremamente positivo.

Sul destino futuro di quest’oasi felice del web 2.0 ci sono previsioni contrastanti: lo stesso fondatore ha ricevuto parecchie critiche nell’ultimo periodo prima a causa di presunte sottrazioni illecite di denaro dal fondo del progetto (il cui sostentamento fino a pochi mesi fa si basava sulle donazioni degli utenti) e poi per aver venduto parte di Couchsurfing.org eliminando di fatto il carattere no profit della società, ma per il momento sembra ancora possibile sognare ad occhi aperti al grido di “Partecipiamo per creare un mondo migliore, un divano alla volta”.

Testo di Alessandra Narcisi

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