India: lavori anticrisi


In questo periodo di crisi economica dei Paesi Occidendali, penso spesso all’India e a quello che abbiamo imparato, io e mio marito,  a quello che ci ha insegnato la popolazione Indiana, anche senza volerlo. Loro non vogliono insegnare niente a nessuno perché sanno essere umili, ma se si riesce a rimanere ben concentrati durante tutto un viaggio in India, cosa per altro non facile, sicuramente si tornerà avendo imparato tanto.

Tra le cose che il popolo indiano può insegnare, sempre che lo si voglia apprendere, è che un lavoro, se davvero lo si vuole, lo si può anche inventare. Dal nord al sud dell’India, dal Rajastan al Kerala, da Calcutta a New Delhi.

Potrete incontrare improvvisate guide turistiche in qualsiasi angolo di città che visiterete,  ragazzini giovanissimi che parlano spesso inglese e a volte anche spagnolo o italiano, lingue imparate per strada con i viaggiatori che hanno conosciuto prima di voi. Alcune “guide” vi prometteranno di accompagnarvi in angoli nascosti e meravigliosi per poche rupie, salvo poi a metà strada rivedere il prezzo che avevate precedentemente concordato. Starà poi a voi decidere se proseguire con loro o pagare il lavoro svolto fino a quel momento, il tutto sempre dopo aver contrattato il prezzo per almeno un quarto d’ora.

Ma questo è un lavoro facile, al quale tutti possono pensare. Quando gironzolerete senza meta nei meravigliosi giardini degli alberghi, in quasi tutti troverete donne accovacciate a terra sotto il sole cocente.

Generalmente, infatti, queste ragazze sono piuttosto giovani, non si sono inventate un lavoro, ma qualcuno più in alto nella scala gerarchica lo ha tirato fuori dal cilindro giusto per loro: puliscono l’immancabile prato all’inglese raccogliendo uno a uno i fili di erba secca stando ore e ore chinate, piegate sulle ginocchia, e ne raccolgono talmente tanta che ne fanno sacchi enormi da caricarsi poi in testa per portarli all’esterno alle bestie che la mangeranno.

Se poi sarete così fortunati da trovarvi in una grande città  mentre si scarica un acquazzone nella stagione dei monsoni, potreste riuscire a vedere un altro lavoratore a voi sconosciuto.

Mentre sarete spalmati al muro cercando di bagnarvi il meno possibile aspettando che smetta il diluvio, guardatevi attorno e, sempre che siate nelle vicinanze di un avvallamento del terreno, potrete trovare il “trasportatore di persone”, così come lo abbiamo chiamato mio marito ed io. Un ragazzo energico che si carica in spalla chi ha la possibilità di pagare qualche rupia per farsi trasportare al di là dell’immancabile lago o fiume che si crea nelle strade senza bagnarsi.

Se riuscirete a superare la prima fase di titubanza e farete uso del tuk-tuk  come mezzo di trasporto, conoscerete anche la verità sui milioni di autisti che circolano in India. Vi accorgerete che la maggioranza dei “tuk-tukista”, (guidatore di tuk tuk), non ha la benché minima idea di dove debba andare per portarvi dove gli avete chiesto, a meno che non sia un luogo di interesse turistico davvero importante. Loro accetteranno di portarvi dove volete, sempre dopo una lunga ed estenuante trattativa sul prezzo, ma poi si fermeranno almeno un paio di volte per chiedere informazioni a chi, generalmente, non saprà cosa rispondere.

Tutti in India lavorano, poco o tanto, cucinano per strada, vendono al mercato, ti disegnano mani e piedi  con l’henné, raccolgono per strada i cartoni per poi rivenderli, così come la plastica e le lattine.

Ci sono anche incantatori di serpenti, pastori, barbieri e dentisti, e quasi sempre lavorano tutti per strada – in India non è indispensabile il negozio – e li vedrete tutti più volte durante il vostro viaggio.

Solamente se sarete baciati dalla fortuna, però,  avrete l’onore di conoscere il “Pulitore di orecchie”.

Gironzoliamo  senza meta per il centro di New Delhi quando veniamo fermati da un uomo piccolo e grassottello con  l’immancabile capigliatura rossa dovuta all’henné, che in un inglese decisamente non male ci chiede se vogliamo che ci pulisca le orecchie!

Si accorge del nostro stupore tanto che ci chiede da dove arriviamo e, magicamente, tira fuori un libretto piccolo e sciupato dall’usura del tempo ma non dall’incuria. Probabilmente è il suo più grande e unico tesoro, insieme al suo genio: un curriculum vitae in tutte le lingue del mondo.

Naturalmente non le conosce tutte, ma a memoria ci apre e ci fa leggere le pagine scritte in italiano.

Elogi a non finire sugli innumerevoli benefici di una pulizia speciale fatta da questo brav’uomo.

Lodi scritte in giapponese, cinese, italiano, spagnolo, inglese, divise quasi  perfettamente per lingua e nazione. In ogni paginetta i vari John, Antonio e Ingrid  hanno firmato le loro dichiarazioni con tanto di data e indirizzo di provenienza in modo che i successivi lettori del libricino non pensassero a una ben architettata bugia.

Mio marito mi ha convinta, con fatica, a non farmi ripulire per bene,  ma anche se le sue argomentazioni erano di certo valide,  quando siamo tornati a casa, i rimpianti si sono fatti sentire.

Saremmo potuti essere tra i pochi non indiani ad avere il privilegio di una grande pulizia manuale del nostro apparato uditivo, ma soprattutto avremmo potuto lasciare le nostre firme su quel taccuino e lui, sicuramente,  ci avrebbe ricordato per sempre nelle sue preghiere agli Dei.



Testo e foto di Ilaria Guareschi

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