Agrigento. Scala dei Turchi: il candido scoglio del sortilegio

A due passi dalla spiaggia di Capo Russello, a pochi chilometri dalla Valle dei Templi di Agrigento,la Scala dei Turchi, un immenso scoglio di roccia bianca a picco sul mare, offre panorami mozzafiato e impalpabili suggestioni

Realmonte è un piccolo paese dell’agrigentino con una villa Romana dagli splendidi mosaici e una spiaggia candida protesa verso il faro. Sulle tortuose insenature di sabbia svetta la Torre di Monterosso, una delle tante un tempo diffuse lungo l’intero perimetro isolano, che si guardavano pronte a replicare il primo fuoco, segnale d’avvistamento delle navi corsare.

Camminando su quella spiaggia piatta, quasi d’improvviso, appare una monumentale roccia bianca, così bizzarra da sembrare frutto del sortilegio di una maga: la Scala dei Turchi si chiama. Deve il suo nome a una leggenda secondo cui un giorno i pirati saraceni ormeggiarono le loro imbarcazioni nelle acque tranquille che lambivano lo scoglio, e s’inerpicarono rapidamente per i suoi gradoni naturali, con i pantaloni sgargianti e gli argenti che baluginavano nella notte sulla parete lattea; e una volta giunti in cima, razziarono i paesi circostanti e se ne andarono con il loro bottino di schiavi.

La Scala dei Turchi è una parete di marna, una roccia sedimentaria di natura calcarea e argillosa. Prima di iniziarne la scalata, i turisti fanno sosta al bar dello stabilimento o si bagnano sulle rive della spiaggia attigua. Poi si incamminano agevolmente, perché la roccia è formata da gironi degradanti che sono un po’ come delle scale. C’è chi ci va in bicicletta, chi se la gode a guardare il panorama, chi si avventura nella discesa per raggiungere le immacolate spiagge sottostanti. Ma c’è qualcosa d’impalpabile nel fascino che emana dal luogo: riporta indietro nel tempo. Fa pensare alle ere geologiche, che hanno inghiottito interi continenti ma hanno lasciarlo la Scala illesa; ai venti tremebondi e alle piogge torrenziali, che ne hanno scavato le scanalature; alle pazienti correnti millenarie, che vi hanno deposto, incessanti, granelli e granelli di scheletri microscopici e gusci di calcare. Fa pensare alla gigantesca torta di una fiaba, decorata di panna montata dalla tasca del pasticciere più provetto del reame. Fa pensare al sale, che è l’oro del mare.

Lascia sbalorditi quel pezzo di Sicilia che pochi chilometri più avanti esplode nella sacra magnificenza della Valle dei Templi. Ma poi, seduti sulla spiaggia al tramonto, ai piedi del colosso di gesso che si colora di violetto, si ode solo la voce della brezza che porta con sé la dolce storia dei due ragazzi innamorati, u zitu e a zita, che uno strano destino ha trasformato nei due scogli che affiorano nel mare lì di fronte.

Testo di Gabriella De Fina | Foto di Walter Leonardi

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