Nuovo diario di una lettrice, che ci racconta la riviera romagnola in sella ad una bici.
Serpeggia rosseggiante, lastricata o polverosa a fianco delle nere strade d’asfalto, si insinua in ebbri ghirigori nei verdi parchi che profumano di tiglio, di menta e di fresca ombra. In Riviera fiancheggia i marciapiedi che corrono paralleli alle spiagge, dove si svolge la lunga assolata giornata dei bagnanti. Ciclabili interrotte da passaggi pedonali e passi carrabili, che si snodano per brevi o lunghi tratti rappresentano il desiderio di possesso di ogni ciclista. Vengono percorse lentamente, con sonnolenza o con scatto atletico e l’immaginario le identifica come zone “off-limits” per altri mezzi o supporti di movimento e solo le ruote delle biciclette possono imprimere le loro lisce o grifagne impronte. E allora ecco in Riviera una di queste ciclabili. La ciclabile inizia da qui; la guadagno pregustando il “viaggio” in libertà e, data l’ora mattutina con l’aria ancora fresca e piacevole, nessuno appare all’orizzonte. L’odore delle paste appena sfornate si confonde con quello acre della salsedine; è tutto un mescolarsi di morbidi suoni che poi scompaiono con il crescere delle ore, per lasciare il posto ai rumori violenti, insistenti, noiosi della vita quotidiana.
Qualche chilometro più avanti la rossa ciclabile esce dal folto abitato e per un tratto ci svela l’habitat primigenio con la campagna sabbiosa e arida di bassa stoppaglia, la spiaggia ricoperta da detriti che la risacca vi ha depositati e che nessuno raccoglie, il mare che sfavilla calmo, piatto e il sole ancora basso quasi a pelo dell’orizzonte acquoso. Il nastro della ciclabile si srotola sempre più avanti senza ostacoli ed il pedalare ha andatura ritmica. E’ quel momento della giornata in cui la trasparenza dei colori, i riflessi del cielo nell’acqua sono il preludio di una nuova giornata spalancata sul mondo. In lontananza il colore rosso della ciclabile pare tramutarsi in sulfurei ed evanescenti colori paglierini mentre a lato, alcuni cespugli, memorie di una più ampia vegetazione mediterranea che qui sorgeva, ostentano bacche occhieggianti come piccoli gatti neri.
Apprezzo la mancanza di chiasso e la ciclabile diventa quasi un mondo intimo, personale; una bolla di vita propria, fatta di semplicità delle cose e di riflessione. Ora l’azzurro sfavillio del mare diventa abbagliante mentre salgono da terra vampe di calore e la luce dilaga, si fa sempre più intensa e l’afa si impossessa dell’aria. Appaiono i primi segnali di risveglio della civiltà vacanziera.
I villeggianti escono con sacche e zaini, portando stuoie, materassini e altri oggetti acquistati anche nel vicino bazar. Alcuni hanno visi ancora assonnati e spingono passeggini con bambini addormentati oppure già piagnucolanti. Gruppetti di giovani imberbi si atteggiano occhieggiando a destra e manca, giovani dal fisico atletico fanno footing, mentre soggetti di una già passata gioventù strascicando i piedi vorrebbero imitarli, persone che incontrandosi mettono in moto il teatro dei “hai visto, hai sentito, c’eri?, ecc…”, E’ un’umanità variegata che si riversa in spiaggia ed è quella che ora invaderà la ciclabile.
Proprio la ciclabile diventa una striscia di conquista, di contesa tra ciclisti, pedoni, passeggini, motorette, cultori del pattinaggio e dello skateboard, ed anche una rossa pedana salottiera. L’abbandono per un po’ infilandomi nella strada asfaltata, mi immergo tra i pini odorosi e raggiungo un tranquillo porticciolo dove bianche casette gli fanno da cornice. Ai lati del tranquillo bacino belle barche a vela, motoscafi, yacht ed altre imbarcazioni sono ormeggiate e ondeggiano dolcemente. Arriva il momento del mio ritorno; la ciclabile mi aspetta ma non solo lei. Il panorama è completamente mutato; non sembra neppure più la stessa che solo alcune ore prima avevo percorso. Ora è tutto un brulicare di persone, di mezzi e di rumori. Per percorrerla è indispensabile destreggiarsi in uno slalom gigante.
Innanzitutto devo schivare improvvisi pedoni che, da dietro fioriere poste quali a sparti traffico tra la ciclabile e la strada, sbucano improvvisamente attraversando senza guardare per raggiungere il marciapiede di fronte. Appare un cane ma non è solo: è al guinzaglio. Il cane guadagna il marciapiede fermandosi e lasciando quei quattro metri di filo scuro del guinzaglio a “tagliare” la ciclabile che il padrone deve ancora attraversare. Sfrecciano i pattinatori ma almeno vanno veloci e come anguille schivano bici e pedoni. La troppa gente sul marciapiede fa scendere sulla ciclabile i corridori: non si fermano, sono veloci o lenti come lumache e non hanno destra o sinistra ma si muovono a zig-zag. Ora alcune persone fanno salotto sulle ciclabile; si danno appuntamenti e intanto restano fermi come incollati occupando i due terzi dello spazio. Ed ecco le famigliole. Individui tra adulti e ragazzetti e tutti rigorosamente il linea orizzontale a bloccare la ciclabile. Camminano anzi, passeggiano sulla striscia rossa perché non conoscono l’uso del marciapiede. Non si spostano a meno di sfiorarne quasi uno con la ruota della bici allora, con smorfia infastidita, aprono un varco che si richiude immediatamente.
Ed ecco la categoria dei ciclisti occasionali. Quelli che la bici la usano solo durante le vacanze e solitamente è prestata dall’albergo. Li vedi arrivare occupando la parte centrale della ciclabile; insicuri, tengono il manubrio stretto a pugni ben chiusi e, ancora lontani, vedendoti arrivare, vengono presi da un tremolio tant’è che il manubrio ondeggia a destra e sinistra. Dove andrà? Ormai la distanza è minima ma ancora sono lì per lo scontro frontale poi, uno scarto, un suono arrabbiato di campanello e ti passano alla distanza di due millimetri. Li hai schivati!. La ciclabile è diventata un girone infernale mentre il marciapiede è pressoché vuoto. Pedalo sul marciapiede ma la buona sorte dura poco e da lontano in lento avanzamento vedo un muro compatto di persone. Ondeggiano come alghe sotto il pelo dell’acqua e, come rapite da una musica, avanzano tutte assieme; non c’è un varco è impensabile infilarsi dentro.
Il sole ora è alto e picchia sulle teste mentre qui sotto è tutto un brulicare di umanità in movimento. Dalla spiaggia giungono voci e musica ad altro volume, mentre i bar, trasformati in ristoranti o fast-food, emanano gli odori della cucina; il fritto del pesce, l’odore untuoso di un qualche ragù e della piada. Il soave profumo del caffè ora non è altro che un lontano ricordo. Riguadagno la rossa ciclabile; ancora qualche scarto a destra e manca poi la lascio. La mia meta è finalmente raggiunta.
Testo di Patrizia Berardo | Foto web
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