Rod Thompson è un signore settantenne che, guardando dalla veranda del suo ranch i lentissimi tramonti della California, ha pensato bene fosse giunto il momento di scrivere il suo primo romanzo. Western. E siccome l’America non è il Paese delle certezze bensì delle opportunità, non solo è riuscito nel miracolo di farsi pubblicare, non solo il suo editore è una major, non solo il romanzo è un best seller, ma diventerà il primo di una trilogia e già si parla di una versione cinematografica. The Black Hills (questo il titolo, edito da Penguin Berkley) è ambientato proprio nelle praterie del South Dakota che videro nascere il suo autore, e di quegli orizzonti sconfinati il libro mantiene mirabilmente lo spirito. Storia di una vendetta e di giovani gunslinger meno interessati alla vita che alle proprie pistole, il libro ha compiuto la straordinaria impresa di mettere d’accordo critica e pubblico in un vertiginoso successo internazionale. La scrittura di Thompson è perfetta nella sua cavalcata morbida, facendo letteralmente galoppare il lettore su quell’avventura da troppo tempo aspettata e finora inspiegabilmente negletta dagli editori. Vi traspira tutto l’amore dello scrittore per il West, con la commozione e l’energia di un thriller da cui è impossibile distogliersi fino alla fine, e in cui si confrontano i destini di questi perfetti protagonisti del Lontano Ovest.
Se è vero che la dimensione imprescindibile del Western è il Cinema, essendo un genere troppo legato alla sensazionalità di spazi, suoni e fotografia, è altrettanto vero che la narrativa a esso legata non ha mai smesso di esistere. Certo qui è molto più arduo immergere i lettori nei panorami assolati della Monument Valley o in quelli ventosi del Dakota, ma, indipendentemente dalle altalenanti programmazioni hollywoodiane, molti grandi autori hanno permesso che tutto ciò continuasse a esistere di vita propria grazie appunto ai romanzi. Ciò è stato possibile perché attorno al Western orbita da sempre un immenso mondo di appassionati, d’ogni età e cultura, che non può fare a meno d’emozionarsi sull’epopea dei pionieri americani. Questo vale ovunque, non solo negli Usa, e ovviamente anche a casa nostra. Ne è la dimostrazione, ad esempio, la rigogliosa fioritura di bei romanzi Western firmati da italiani, attualmente disponibili in libreria.
Così in questa infuocata estate abbiamo potuto gustare Bastardi per stirpe, il nuovo lavoro di Stefano Jacurti, edito da I Libri di Emil . Qui è l’arida e sterminata Arizona a far da sfondo al tòpos della faida fra allevatori di vacche e di ovini: poca erba, poca acqua, nel paradosso di un territorio smisurato e incombente, dove un giovane popolo tenta di salvare i propri sogni dalla durezza della Frontiera, strappando ogni giorno e ogni metro alla ferocia della vita. Pistoleros, rancheros, Apaches, Soldati Blu, tutto nella trama è perfettamente amalgamato e dosato con maestria, tanto da far vivere in 186 pagine l’esatta espressione del genere, non dimenticandone la violenza e neanche la dolcezza, la scenografia, e un certo feticismo nei dettagli tecnici. Non potevamo aspettarci niente di meglio da Jacurti, ma non ce ne stupiamo poiché è lui stesso, primo fra tutti, un vero cowboy, lui che normalmente cavalca solitario nel Gran Sasso, dirige e recita in film western (e non solo) e a tempo perso firma bei romanzi come questo.
Un altro custode delle tradizioni letterarie del Far West è Domenico Rizzi, narratore e saggista, di cui è da poco uscito O.K. Corral 1881, per le Edizioni Chillemi L’atmosfera delle sue pagine si sposta su un duplice binario: l’amore per la leggenda, e il rigore della ricerca storica. Rizzi, infatti, con uno studio professionale da cui non mancano indagini in loco, raccolta di documenti e interviste, sopralluoghi a Tombstone, racconta forse il più famoso episodio della mitologia western: il duello fra gli Earp, i Clanton, e i relativi sostenitori. Ne esce un appassionante resoconto narrativo dove la verità storica riveste la memoria romanzesca, e in cui il mondo di sceriffi e fuorilegge, lungi dall’esserne adombrato, ne viene ancor di più arricchito. Rizzi non è nuovo a tali escursioni scientifico-letterarie, e i suoi libri su personaggi e situazioni reali del vecchio West sono un toccasana per i cowboy contemporanei.
Questa moda mai tramontata ma, anzi, ora in pieno rigoglio (documentato anche dal fiorire di siti web e blog dedicati, corsi di ballo line-dance Country, abbigliamento tipico fra Stetson e stivali, e centri d’equitazione americana in continua espansione) ha senso, però, soltanto a una condizione: che non si pretenda di giudicare storicamente ciò che è innanzi tutto mito letterario. Il Western è una fantasia, un racconto di onore, coraggio, amore, libertà, anelito d’avventura; il suo spazio è in ciò che ci fa sognare, nella vita che non ci appartiene, nella nostalgia di storie distanti da questo progresso orribile e desolante: non si faccia mai e poi mai l’errore di confonderlo col giudizio storico sulla conquista territoriale compiuta dai coloni americani! Con esso non c’entra nulla: il Western è una fiaba.
È risibile rifiutare l’epico panorama narrativo (e ambientale) del West adducendone gli orrori autentici del suo tempo, come per esempio le guerre indiane: sarebbe come non voler leggere Melville perché in Moby Dick si cacciano le balene, o aborrire Shakespeare per la violenza fratricida, o ancora proibirsi i canti dell’Iliade perché quella di Troia fu una guerra imperialista…Lo aveva ben capito il maestro John Ford, quando ne L’uomo che uccise Liberty Valance fece pronunciare la frase in assoluto più importante della cinematografia western:«Questo è il West, dove se la leggenda diventa realtà vince la leggenda».
Testo di Andrea B. Nardi
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