Paesaggi mozzafiato, personaggi misteriosi e affascinanti raccontati attraverso l’esperienza del mio tour fatto nel sud-est del Marocco.
All’orizzonte mi appariva imponente e maestoso il deserto del Sahara. Una vasta distesa di sabbia si perdeva al di là dei confini che l’occhio umano possa cogliere. Il mio cuore palpitava e la mente fantasticava sull’esperienza che da lì a poco avrei vissuto. Mi trovavo a Merzouga, in Marocco, una località dove si respira una sensazione di limite, di frontiera. Merzouga finisce dove inizia l’Erg Chebbi: uno sbarramento di dune di sabbia finissima lungo 30 km e largo 10; la magnificenza delle sue montagne fatte di granelli rossi e arancio arrivano a sfiorare i 160 m. di altezza.
Ad attenderci, a me e ai miei otto compagni d’avventura, c’era una carovana di dromedari guidata da due affascinanti quanto misteriosi “tuareg” che ci avrebbero condotto, attraverso le impervie dune, al campo tendato, in pieno deserto, dove ci saremmo accampati. Durante il tragitto già si intuiva che ci stavamo inoltrando in un luogo che abbandona ogni contatto con la civiltà per catapultarci in una realtà da sogno dove vivere, al tramonto, in simbiosi con paesaggi mozzafiato fatti di linee morbide e colori dalle forti tinte. La sensazione di infinito e di solitudine che ti pervade (Sahara infatti è una parola araba che significa solitudine) ti ricongiunge quasi ad una presenza divina.
Vivere poi la notte, bivaccando accanto ad un fuoco acceso, sorseggiando tè alla menta o gustando deliziose pietanze come il “tajine”, con i racconti dei tuareg che rendono ancora più surreale e suggestiva l’atmosfera; fotografare le stelle che qui sono più luminose e splendenti che in ogni altra parte del mondo e aspettare l’alba per coglierne i primi tenui colori dell’aurora e con sorpresa scorgere nel cielo una brillante mezzaluna con a fianco venere, quasi come simbolo di richiamo all’islam, che qui è la religione praticata.
Il mio viaggio marocchino era iniziato dall’affascinante città rosa di Marrakech dove la sua spettacolare piazza Jemaa El Fna brulicante di gente ti fa immergere in un’atmosfera da “Mille e una Notte”; un grande spiazzo dove ogni giorno è possibile assistere a spettacoli di ogni sorta: saltimbanchi, giocolieri e incantatori di serpenti; e dove ogni sera, la stessa, la si vede trasformarsi in un gigantesco ristorante all’aperto dove fumi e profumi di cibo si mescolano al chiacchiericcio della gente. Il nome della piazza ha in se un che di macabro, vuol dire “raduno dei morti”, nome un tempo giustificato in quanto vi avevano luogo le esecuzioni pubbliche. A poche decina di metri dalla piazza si trova il cuore pulsante della Medina: il souk; questo è il luogo dove usi e tradizioni millenarie si combinano sin dai tempi antichi; un luogo magico ove è normale accettare il tè offerto dal venditore o contrattare sul prezzo di un oggetto messo in vendita.
Il tempo è scandito dalle chiamate dei Muezzin dai minareti sparsi per la città che si sovrappongono al vociare di Marrakech. Ma Marrakesh è anche città di apertura alla cultura dell’occidente; lo si vede dai grandi alberghi che hanno sostituito i più caratteristici “riad”, ma lo si vede soprattutto nel modo di vestirsi delle donne marocchine che, per la maggior parte, hanno abbandonato il tradizionale “hijab” lasciando così palesemente vedere i loro splendidi volti.
Lasciata Marrakech raggiunsi, a bordo di un pulmino, la località di Ait Ben Addou attraversando la catena montuosa dell’Atlas. Ait-Ben-Haddou è nata come città fortificata lungo la rotta carovaniera tra il deserto del Sahara e l’attuale città di Marrakech. Si trova sul fianco di una collina lungo il fiume Quarzazate. La fortezza o Ksar è protetta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. L’aspetto che ti colpisce è la sua architettura tipica del Marocco meridionale con i suoi edifici fatti di fango e terra rossa, lo stesso colore della valle circostante, e circondati da alte mura difensive.
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