Il mestiere itinerante che mi ha indotta a scoprire questo luogo, però, è quello dell’acciugaio, colui che commerciava acciughe. Esistono teorie discordanti in merito all’origine del mestiere. C’è chi sostiene sia dovuto all’intuizione di un bottaio, che si rese conto della convenienza del tornare in vale con un carico di pesce da vendere lungo il tragitto oppure a un pescatore che pagava le pezze di canapa con pesce salato. L’opinione più accreditata si riferisce invece al fatto che le acciughe venissero utilizzate solamente per contrabbandare il sale, bene molto prezioso e gravato da un forte dazio. Con il tempo si iniziò ad apprezzare il sale anche come utile metodo di conservazione e oggi, proprio in Val Maira, ha sede la Confraternita degli Acciugai. Nata solamente nel 2007, si prefigge lo scopo di mantenere vivo il ricco patrimonio della zona, dove si trova anche il Museo Seles dedicato all’antico mestiere dell’acciugaio, salvaguardare l’utilizzo dell’acciuga nell’ambito di una corretta alimentazione, promuovere le attività turistiche della zona e, naturalmente, commercializzare ottime acciughe con il proprio marchio.
La Val Maira è una delle valli occitane, che condividono i valori su cui è fondata questa antica cultura. I pilastri dell’Occitania sono l’uguaglianza morale e la gioia di vivere. Accompagnamento della vita quotidiana delle genti di queste valli è la musica, che si identifica soprattutto nel suono singolare della ghironda. Si tratta di uno strumento di origine medievale, che si suona attraverso lo sfregamento contro le corde di una ruota azionata a manovella. Una musica allegra che attira facilmente l’attenzione, come è successo a Dronero dove le note prodotte dalle abili dita di Simonetta Baudino hanno incantato persone di ogni età.
Questa zona è natura incontaminata, relax, antichi mestieri, accoglienza e arte, che prende ispirazione e linfa vitale dal territorio. Sergio Savio è un uomo gentile e di poche parole; ama vivere in solitudine, o quasi, e lavorare il legno per creare pezzi unici, maneggiandolo con un’abilità straordinaria. Utilizza il legno d’ontano, dal caratteristico colore arancione dovuto alla presenza di tannini e dalle proprietà calmanti, e lo lavora con strumenti più da falegname che da artista: motosega, pialla, accetta e ogni utensile che riesce a creare o sistemare con le proprie mani. La natura selvaggia è il suo habitat naturale perché è il silenzio ciò che lo fa stare bene. Non ha bisogno d’altro e la felicità si può leggere nei suoi dolci occhi cerulei.
Testo di Federica Giuliani | Foto di Federico Klausner
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