Tanzania. Vento della creazione

Mai abbassare la guardia in Africa. Arrivati a destinazione in Tanzania i cittadini usano dire ”Tunashukuru mungu tumefika” che tradotto significa “grazie a Dio sono arrivato”. L’ho pensato spesso in questo viaggio. I bagiagi (quelli che in Asia chiamano Tuk Tuk ) prendono i dossi a velocità improbabili e sorpassano come dei disperati a destra, a sinistra e non ho capito perché quando vedono un’auto arrivare dall’altro lato della strada tentino di proposito il sorpasso quasi cercando un frontale. Una barca a motore palesemente sovraccarica che stava a galla per miracolo, quelle jeep 4 per 4 per far risalire il panettone di Natale 1999 a cui la manutenzione viene fatta infilando negli ingranaggi pezzi di legno rudimentale tenuti insieme da una corda alla “và là che vai bene” e ancora quell’aereo 8 posti per raggiungere l’isola che non so ancora come potesse volare e il battello di rientro alla città di Dar Es Salaam su cui si potrebbe fare un totoscommesse nausea, vomito, affondo. E ancora quegli autobus, i “dalladalla” alcuni dei quali visti fermi sulle strade carbonizzati, sono dei fossili o degli spaventa-viaggiatori. E infine i gli autobus di linea (quelli insomma considerati migliori) a cui si surriscaldano i freni fino a farli bruciare e che emettono fumo che entra dai finestrini per cui arrivi a pensare di stare per morire soffocato o che tutto stia per esplodere. “Grazie a Dio siamo arrivati”.

Dar Es Salaam, h.3.45

Federico e Jacopo mi accolgono all’Aereoporto Kaka Waifa Nyerere , indiscusso leader nazionale. Dormiamo qualche ora a casa Cefa (ONG – comitato europeo per la formazione e l’agricoltura). L’indomani sveglia all’alba per raggiungere l’isola di Mbudia dove i cooperanti sparsi per le varie ONG della Tanzania si ritrovano per trascorrere la domenica, anche qui giorno di riposo. Aragosta e altre varietà di pesce, delizioso. Incredibile la velocità con cui mi trovo a condividere un pranzo con tanti simpatici sconosciuti, in una piccola isola deserta al largo dell’oceano indiano. Vengono da tutta Italia con una piacevole predominanza siciliana, raccontano le storie più diverse. Chi è espatriato in Tanzania ormai da anni, chi è qui per il servizio civile chi è venuto a fare ricerca e chi, come me, ci è capitato per caso. Ci tengono a sottolineare che non sono soliti mangiare aragosta né a vivere giornate così rilassanti. Mi sento molto fortunata, grande esordio in terra africana. A scaglioni e fortunatamente arrivano anche Caterina, Francesca ed Anisia le mie compagne di viaggio che aspetto a braccia aperte.

L’indomani partiamo per Moshi, una prima pullmanata di 10 ore che ci dà modo di conoscere anche Serena e Daniele, nostri accidentalmente compagni di Safari. Al tramonto ci aspetta Santiel, africano navigato esperto proprietario dell’agenzia a cui ci affidiamo. Ci offre Tè allo zenzero e qualche raccomandazione pre partenza conditi con aneddoti africani. Due jeep, due autisti, un cuoco e noi 8 settati da safari pronti per tuffarci nel cuore dell’Africa, i parchi del Tarangire, Serengenti e Ngorongoro. Ci aspettano 3 giorni intensi per ricchezza naturalistica, fauna, flora ed avventura. Il precisissimo manto delle zebre ci accoglie al Tarangire, poi l’eleganza delle giraffe, e ancora prima del previsto due leonesse. E’ bellissimo, è quanto di più naturale e vero si possa desiderare di vedere. Sembra di essere in un documentario in 3D i suoni, le luci, gli animali dalle fortissime sembianze umane. Il tempo sembra essersi fermato, gli gnu brucano l’erba, gli elefanti si muovono pesantemente. Il leone, consapevole della sua magnificenza fa inchiodare dinanzi a se i fuoristrada facendo sfoderare ai viaggiatori gli zoom più potenti. E’ un privilegio affacciarsi su questo mondo vasto e selvaggio che ci si augura possa non cambiare mai. In anticipo sul calar del sole arriviamo in campeggio, non c’è elettricità i bagni sono fatiscenti l’acqua è un miraggio, i ragazzi del posto ci aiutano a montare le 2 tende da 4 con qualche torcia e un po’ di fantasia. A cena il cuoco dà il meglio di se, tante portate servite con attenzione alla sostanza e al dettaglio proprio come piace a noi italiani. La cucina in cui è costretto è piccola, quasi priva di utensili, buia. Molto apprezzato per la creatività, la velocità e la varietà del cibo che riesce a cucinarci e a servirci, lì in mezzo alla savana. Suoni di animali selvatici e un tappeto di stelle vicinissime e luminosissime sopra di noi, nessun altro continente al mondo è capace di esaltare gli astri in questo modo. Abbigliamento tanto pratico quanto buffo, svegli pronti per l’alba del Serengenti. Il risveglio della savana è affascinante, e il suono della sveglia ad ora improbabile è giustificata, oltre che dalla fauna di contorno, dall’avvistamento di un leone un incantevole leopardo. Vicino, troppo vicino alle nostre jeep. Se può saltare su un albero di certo una jeep non sarà inarrivabile. Per fortuna non è interessato a noi ma consapevole del suo fascino, ci regala una passerella degna di un predatore e prosegue per la sua strada. Un sospiro, tantissime emozioni in così poco tempo. Condivisa già molta vita intensa gli altri avventurieri ed io. Campeggio, gioco di squadra montare le tende al buio, lavarsi con un filo d’acqua gelata e non avere corrente elettrica per nessuna necessità qui considerata superflua ancora parecchio lontana. Cena a piedi del cratere Ngorongoro, nubi basse, freddo, zuppa di zucca, lumi di candela e torce, stellata, incontro con alpinisti italiani rientrati vittoriosi da una scalata del Kilimangiaro, falò e canti con un gruppo di australiani, un vino rosso di origine sudafricana. Una serata magica.

La discesa al cratere del Ngorongoro è trionfale. Terra rossa, strada sterrata jeep che sfreccia veloce sollevando tanta polvere, fortissimo vento, vento della creazione, cielo coperto e un raggio di sole tra le nuvole scure. Sembra l’occhio di Dio che illumina il centro del cratere, il cuore del mondo. Qui la catena alimentare non ha segreti, quelle povere gazzelle e quei dolci mpala sono sempre nel mirino. Lo scenario è incredibile, lo spettacolo naturale impareggiabile, nacque in questo luogo la specie umana e ora che ho visto questo posto lo credo fermamente. Uscendo incrociamo qualche abitante dei dintorni, i Masai.

Soddisfatti voliamo meritatamente a Zanzibar. Stupiti dall’organizzazione interna del gruppo di viaggio ringraziamo per questi scaltri spostamenti Federico e Jacopo che hanno organizzato e gestito magistralmente e su tutto il fronte la nostra permanenza. Ogni spostamento, richiesta, proposta, desiderio è stato portato a termine grazie alla loro conoscenza del paese e delle persone.

Zanzibar, l’isola delle spezie. I giorni di mare li trascorriamo tra Kendwa e Jambiami. Una località turistica spiaggia bianca da cartolina e una selvaggia meno frequentata e con forte stile giamaicano. Succhi di frutta deliziosi, mango papaia e frutto della passione ricordano la ricchezza delle risorse alimentari del paese. Peccato però che frutta e verdura non rientrino nella loro dieta. Con tutta questa esplosione di materia prima, un piccolo sforzo potrebbe fare di questo paese una locomotiva ma sembra che non ne siano interessati.

La vita del continente sembra lontana, Stonetown è in festa, sono i 4 giorni di festeggiamenti per la fine del Ramadan. Le donne, solitamente chiuse nelle loro case sono nelle piazze, in un tripubdio di burqa colorati. La piazza centrale è gremita di gente, di bancarelle di colori. Piazze e mercati odori e suoni, quanta popolarità in queste immagini. Stonetown è incantevole, con influenze arabe, africane ed europee è una piattaforma che racchiude un delicatissimo melange di razze al largo dell’oceano indiano. Il giro delle spezie, conferma la sterminata ricchezza della vegetazione locale oltre al folklore degli abitanti del posto. Cannella, vaniglia, zenzero, noce moscata, semi di girasole, cumino, curry e tutto ciò che noi compriamo in bustina qui lo raccolgono dagli alberi. Pranziamo per terra, mangiamo con le mani, sconfiggendo l’ennesimo batterio. Finalmente abbiamo modo anche di assaggiare del pesce squisito, Capitan Cook ci prepara un ben di dio: Seppie, King Fish, un polipo degno di questo nome, cicale, pesce spada e tanto altro ancora. Il tutto a 1500 tsh servito in modo molto spartano, ammassato su un unico piatto. Vita nuda e cruda da Capitan Cook come su tutta l’isola.

Rientriamo a Dar, chi rientra in Italia e chi invece prosegue per l’interno dell’Africa nera: i villaggi dove lavorano Federico, Serena, Jacopo e Cecilia. Viaggio in pick up destinazione Njombe. Il paesaggio è stupendo, attraversiamo una foresta di baobab e tante varietà di paesaggi, vegetazioni e climi. Arriviamo la sera a Njombe, siamo pronti al freddo, c’è una nebbia fittissima. Fa strano vedere tutti i locali vestitissimi, pile, cappucci, cappelli, maglioni, felpe. Insomma nell’Africa del nostro immaginario splende sempre il sole e fa sempre caldo, qui no. Siamo a 2000 metri.

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