È fuor di dubbio, la capacità evocativa del nome è forte: dici Svizzera e, subito, si affaccia alla mente una moltitudine di immagini e di pensieri. Le montagne, in primis: ovvio e perfino banale. E poi i ghiacciai, le località turistiche di grande fama, gli orologi, il cioccolato, la bandiera quadrata con la croce bianca in campo rosso, il Franco come valuta-forziere e molto altro ancora. Per chi non è giovanissimo, poi, non potrebbe mancare Heidi, il celeberrimo personaggio letterario e dell’omonimo cartone animato ambientato nel Canton Grigioni, che ha accompagnato l’infanzia di qualche generazione di italiani e non solo. Ma alzi la mano chi, in quel “molto altro” che doverosamente abbiamo aggiunto, collocherebbe anche il vino. Già, proprio così: il nettare di Dioniso. Possibile? Il vino, tra le vette più alte d’Europa e gli enormi ghiacciai incombenti? Come se ci trovassimo in qualche calda e asciutta regione del Mediterraneo? Altro che, se è possibile. Benvenuti nel Vallese, terra – si perdoni la fin troppo facile rima – di sorprese, per il viaggiatore italiano. E la prima e forse più grande sorpresa, indiscutibilmente, è quella che si ritrova in un bicchiere, di colore rosso o bianco. Il vino, appunto.
Nel Vallese, cantone che si distende sopra il Piemonte e la Valle d’Aosta, il vino rappresenta ormai un’autentica bandiera, un marchio di respiro internazionale. Un marchio di prestigio. La prova? Beh, tra le tante possibili se ne può citare una che certo non ha mancato di sorprendere e di incuriosire. Nell’ottobre del 2011, nel corso della Vendemmia in via Montenapoleone, evento che vede molte boutique del cuore mondiale della moda aprirsi ad un’insolita degustazione notturna di etichette italiane e internazionali, alcuni vini vallesani si sono posti in grande evidenza. Parliamo, in particolare, del Cornalin 2009, un rosso importante, invecchiato fino a quindici anni, del Païen 2009, un bianco, anch’esso proveniente da un vitigno autoctono svizzero, e dell’Exeption Grain Nobles 2005, vino dolce ottimo per accompagnare il dessert. Prodotti, tutti, dell’Histoire d’Enfer, casa vinicola vallesana che va sempre più consolidando un prestigio ormai internazionale.
Per il turista italiano, a maggior ragione per quello che risiede nelle regioni del nord, vigneti e vini del Vallese offrono un’occasione per un viaggio fuori porta originale, ricco di spunti interessanti tanto sul piano culturale quanto – superfluo a questo punto precisarlo – su quello dell’enogastronomia. Sì, perché il vino, nel Vallese, significa in primo luogo storia, tradizione, cultura. Una storia che ha radici profonde, se è vero che le prime tracce di coltivazione della vite risalgono addirittura all’Età del Ferro, attorno all’800 a.C. Nel Medioevo, la viticoltura nel cantone è ormai un fenomeno diffuso e ben radicato. E oggi? Oggi c’è di che essere sorpresi, anche solo guardando dal finestrino del treno che collega Milano a Ginevra. In diversi tratti i vigneti divengono addirittura l’elemento preponderante del paesaggio. Lo sviluppo verticale è impressionante: dai 400 metri di quota, si spingono su fino ai 1.100 metri di Visperterminen, che si è guadagnato la fama di ospitare il vigneto più alto d’Europa. Tutto quel che si vede è frutto di un minuzioso lavoro plurisecolare che ha plasmato i pendii, erigendo qualcosa come 3.000 chilometri di muretti a secco (secondo una stima), dando spazio ai circa 5.200 ettari attuali di vigneti, con una produzione annua pari a una cinquantina di milioni di litri. Numeri che pongono il Vallese al primo posto tra i cantoni elvetici nella produzione vinicola.
Ma com’è possibile, considerato che siamo nel cuore delle Alpi? Beh, è il clima, soprattutto, oltre alla varietà dei terreni, a sciogliere l’interrogativo. Un clima che, nel fondovalle, è insospettabilmente asciutto e soleggiato. E i pendii che si affacciano sul Rodano, liquida spina dorsale del Vallese, ringraziano sentitamente, offrendo vini in quantità e di qualità. “Vini”, appunto. Il plurale è davvero d’obbligo, perché la varietà dei vitigni è invero grande e sono ben 49 quelli che oggi godono della Denominazione d’Origine Controllata (AOC) Vallese. Curiosamente, anche se il numero delle varietà a bacca bianca costituisce i due terzi del totale, la superficie destinata a produrre vini rossi è preponderante. Circa l’85% dei vini è ottenuto dalle varietà considerate “tradizionali”, ovvero Pinot Noir, Gamay, Chasselas e Sylvaner. La restante parte origina da un’ampia gamma di vitigni – alcuni dei quali tipici vallesani – come, per esempio, la Petite Arvine, l’Amigne, il Cornalin, l’Humagne Blanche e Rouge, il Fendant.
Mille altre cose si potrebbero raccontare su questo patrimonio del Vallese, ma vale davvero la pena di spendere qualche giorno sul campo per cogliere tutto quanto va colto, a partire dalle sensazioni e dalle emozioni che scaturiscono dall’osservazione degli inusitati paesaggi, dall’esplorazione delle cantine e, ovviamente, dalla degustazione di qualche buon bicchiere. Nulla di meglio, a tale proposito, che incamminarsi lungo la chemin du vignoble, la strada del vino, un sentiero che si allunga per 50 chilometri, tra i borghi di Martigny e Leuk, e che si può percorrere come si vuole: a piedi o in bicicletta, per chi ha tempo e voglia di cimentarsi in una full immersion in queste terre, oppure in auto e perfino in bus. La strada si suddivide in tre itinerari, ben segnalati e percorribili in ogni stagione. Buon viaggio, dunque, nell’altra Svizzera. Oltre l’immaginazione, oltre i luoghi comuni, la Svizzera che non ti aspetti.
Testo e foto di Sergio Mantovani
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