Gabicce Mare di Renata Ciaravino

PICCOLEITALIE

Se chiedi a una drammaturga un pezzo sul suo «luogo del cuore», rischi che lo metta su carta come se dovesse metterlo in scena. Renata Ciaravino, prima ancora che narratrice, è del resto un autentico “animale da palcoscenico”. Selezionata al laboratorio di drammaturgia del Théâtre du Rond-Point di Parigi e a Le Centre des Arts scéniques di Bruxelles, ha poi fondato la Compagnia Dionisi ed è direttrice artistica del Festival Mixité a Sesto San Giovanni. Autrice per la tv e il cinema, collabora anche con Gianna Nannini, Veronica Cruciani, Elisabetta Pozzi, Francesco Micheli. È rappresentata in francese, tedesco, turco, polacco, inglese, valenciano, slovacco, sloveno. Nel 2007 è uscito: Potevo essere io, primo romanzo cui ci auguriamo ne seguiranno altri.

Manuela La Ferla

Fantasticare sul fondo del porto

“Si è suicidato il figlio di Rambo!” “Whitney Houston all’epoca anche, l’hanno trovata nella vasca bollente che quando le hanno fatto l’autopsia hanno visto che non aveva i capelli e i denti”. “Ah però”.

Sono stesa sotto l’ombrellone. I miei vicini parlano di cinema. Ho trentotto anni. Sono a Gabicce Mare. Ne avevo dodici. Ero a Gabicce Mare. Vado in cabina e sento l’odore di ventisei anni fa. D’amore con le fessure della porta che passano luce. La chiave piena di sabbia. Un po’ d’acqua per terra. Mio nonno era un albergatore di Rimini. Questi alberghi in fila a dodici anni mi rassicuravano, a diciassette sognavo il campeggio libero, a trentotto mi commuovono perché mi rassicurano. Nel frattempo ho abolito il campeggio libero.

Quattro ottantenni in una hall tre stelle. Una fuma le Capri, una ha lo zainetto con dentro l’ossigeno, le altre due: abbastanza bene. Giocano a ramino, hanno mangiato fritto. “Cinquant’anni fa ero la Regina di Gabicce!” “Brava”. “Sta finendo l’ossigeno.” “Ti aspettiamo sbrigati.” Una mamma anoressica guarda il figlio. Lo vorrebbe abbandonare nella sala giochi in piazza per sempre. Il marito è a pagina 23 di Focus: Perché il nostro cervello non dimentica?

Ho dodici anni. Al porto di Gabicce infilo nell’Apecar di Dodo un adesivo. PERCHE’ TU PER ME SEI IL MEGLIO CHE C’E’. Non mi risponde subito. Forse perché è anonimo. Mi risponde due anni dopo. Ci baciamo fuori dalla Baia Imperiale. Stop. Non me lo ricordo più. (Credere di) Amarsi in spiaggia. Se non conosci nessuno vai nel negozio della via che dalla piazza porta al porto, vendono «Braccio di Ferro» usato, tutti i numeri. Comprati il gelato. La sera passa. Nessuno si accorge di te. Sei libero. Gabicce Mare.

L’amica di Brescia. Insostituibile. Ogni estate la ritrovi. Poi arriva l’inverno e non esiste più. Riappare il primo di agosto. Insostituibile. Poi arriva l’inverno. Sparisce. Decine di persone esistite solo in agosto. Ma esistite così tanto che non se ne vanno via più. Una foto in piazzetta a dodici anni e rido. Una a quattordici, vorrei ridere ma non posso, ho quattordici anni e sono triste. Una a diciassette: sono perduta, volevo fare campeggio libero e sono a Gabicce Mare con mia nonna. Scaraventata contro una cabina. Di notte. Per essere amata da un diciannovenne bellissimo che mi chiede di andare in spiaggia e tu pensi: amore aspetta ancora tre estati, ora no, ora sì. Ritornerò. E la mattina dopo di nuovo piccola, io. Bombolone.

La spiaggia, l’ombrellone. Mai in prima fila che costa. Un mare mai bello ma bello. Dopo pranzo in spiaggia silenzio fino alle cinque, i bambini dormono. In attesa che accada un nuovo innamoramento. Di giorno. Di sera. Pizzetta alle 10. Gelato alle 21. Venti gettoni per la sala giochi, grazie. Ho fatto l’Interail e 8 voli intercontinentali. Ho fatto quel cazzo di campeggio libero. Ma Gabicce mare. Tra i vicoli che vanno alla spiaggia, sfiàti tra un albergo e l’altro. Non va via mai più. E vedere all’improvviso la fila di ombrelloni ordinati che sfarfalleggiano al vento. E fare una foto da modella sul pedalò spiaggiato. E camminare a piedi nudi sul cemento. E stare da sola. A dodici, diciassette, trentotto anni. E non avere mai paura. Sempre in attesa di esplodere d’amore. Ed esplodere poco o niente. Camminare lungo il porto. Non fare niente ma stare già facendo qualcosa. Fantasticare sul fondo del porto. Fantasticare di cadere e rimanere impigliata sotto una chiglia. Allontanarsi dal porto. A Gabicce Mare.

Testo di Renata Ciaravino

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