Inganno
Cosa c’è in comune in Cina tra un monaco tibetano armato del palmare, tra un cellulare taroccato venduto nei sotterranei di una fermata del metrò, alcuni meccanici che mettono insieme moto e carretti mutandole in un alternativa al taxi e il sosia cinese di Obama? Shanzahi. Viviamo in una società dove non si prende niente a cuore e quindi tutto è slegato da principii. Shanzahi è la parola che dimostra come austerità e spreco, progresso e passi indietro possano coesistere in un’unica entità. Come la società può progredire e regredire. Shanzahi è l’inganno, è la truffa, è quello che gli americani chiamano “fake”. E’ una forma di reazione verso le autorità locali e per autorità locali intendo i centri di potere, le autorità che esistono in una società, quelli più prevalenti, che rappresentano le idee più ortodosse e tradizionali, quelle autorizzate. Perciò Shanzhai è minimizzare le autorità, imitare le correnti in voga, riprodurle alla perfezione e prendere in giro e deridere tutto quanto viene imposto. Ormai ci sono perfino i vip Shanzhai, ovvero si cercano delle persone che assomigliano ai vip: i sosia sono ingaggiati poi per fare le pubblicità, così da una parte c’è un effetto pubblicitario per la star stessa, dall’altra c’è un pò di speculazione, a prezzi più bassi. La falsità non è più nelle parole, ma è nelle cose.
Bisogna leggere, contemplare, ascoltare, imparare a fiutare l’odore del paese del Dragone: una mescola di polvere, di sintetico e di nuovo, che ti sorprende in una stanza o nell’uniforme di colui che ti passa accanto. L’importante è tenere la mente occupata, e non cedere allo stupore. Ma è stupefacente, sorprendente, incredibile. L’estetica in Cina è consentita, la politica non più, o non ancora. La cultura è una seconda natura che riduce la passione, ma regala un certo stile: ieri alle Guardie Rosse, oggi ai nuovi ricchi, alla mafia. Nulla a che fare coi milionari petrolieri comunisti di Mosca: là ostentano, qui si limitano a mostrare ma a non fartelo vedere. Occhiali neri, lupetto nero, giacca di pelle nera.
La Cina è una foresta di eccezioni, che offre agli espatriati un’esperienza di colonialismo soft, fondato sulla abbondanza di mano d’opera. Guardaroba e garage, hotel e ristoranti, uffici o parcheggi: le porte si aprono, i cappotti scompaiono e riappaiono, guardie più o meno sorridenti scivolano ovunque come ombre. Questa Cina è eccitante, ma credo provvisoria. Il problema è che nessuno sa cosa succederà, e quando: la bomba è pronta ad esplodere, ma per molti è innocua e sepolta sotto metricubi di cemento armato. Così tutti cercano di divertirsi, fare affari, e non pensarci. Me ne accorgo io, se ne accorgeranno anche gli inglesi e i francesi, che adesso si fanno fotografare sul Bund col sigaro in bocca e le ragazzine sottobraccio, come se a Shanghai non fosse cambiato niente, come se i padroni fossero ancora loro, fossimo ancora noi. Mentre ad Ordos è cambiato tutto nel nulla.
Shanghai, 19 milioni di abitanti, è una città scintillante e frenetica al protagonista di un rapido mutamento culturale. Pur non potendo competere con la storia epica di Pechino o con le magnifiche vedute di Xi’an, da quando le restrizioni commerciali sono state abolite, s’è rimboccata le maniche e ha riscritto da zero le sue regole, dando vita a una città nuova e frizzante, sofisticata e innovativa, con uno stile di vita che la vecchia Shanghai non aveva mai conosciuto. In soldoni: 265 grattacieli realizzati nell’arco di 30 anni e il più alto dell’Asia in arrivo nel 2014.
Ordos, quasi un milione di abitanti, ma nonostante tutto una città fantasma. Non è completamente spopolata, e il motivo per cui la chiamano fantasma non è causato da uno spopolamento o da un incidente nucleare come a Chernobyl, o Fukushima. Il motivo per cui risulta disabitata è dato dalla speculazione economica, quella che viene chiamata bolla immobiliare cinese. Ha un clima freddo, semi-arido, con inverni lunghi e molto secchi, ed estati molto calde ed umide. Come mai hanno costruito un quartiere, un’area enorme, per alloggiare circa due milioni di persone, che non sono mai arrivate? Siamo vicini alla Mongolia e in lingua mongola Ordos significa “palazzi”. Siamo forse di fronte ad un caso di nomen-omen metropolitano? O, per quanto la tiri, sai che la coperta e corta e stavolta si son scoperti i piedi? Di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. Shanghai-Ordos: yin e yang.
Contare fino a dieci in Cina è difficile. Si fa anche con una mano sola. Descrivere questo paese in dieci parole ancor più difficile, ma tutto il resto lo si può immaginare. Tutto l’immaginabile qui può essere sognato ma anche il sogno più inaspettato è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. La Cina è come un sogno edificato da desideri e paure. Così migliaia di bambini nelle campagne remote intorno ignorano ancora il gioco del calcio, però sanno benissimo come si assembla un iPhone, Obama domina sorridente sui cartelloni pubblicitari di un’imitazione del BlackBerry, una gru si muove, gente si accalca per strada per stringere la mano a un sosia di Mao, passa una berlina nera coi vetri oscurati, un bambino fa la pipì dietro ad un cespuglio mentre una coppia di disoccupati si suicida perché non può comprare una banana al figlio.
Testo di Tommaso Braglia | Foto Web