Cappello panama: storia di un successo

Il famoso cappello panama è diventato patrimonio immateriale dell’Umanità perché l’UNESCO ha pensato che dovesse essere tutelato. Le origini del copricapo, forse pochi lo sanno, sono da ricercare in Ecuador nella provincia di Manabì, dove viene prodotto. Il nome Panama deriva dal fatto che l’omonimo Paese dell’America Centrale è stato per secoli il principale punto di smercio.

Il cappello, tradizionalmente bianco a falde larghe, viene realizzato intrecciando esclusivamente paglia toquilla: elastica e lucente viene ricavata da una palma dalle lunghe foglie, che vengono tagliate quando sono verdi e chiuse in boccio. Le fasi di lavorazione richiedono l’eliminazione di filamenti e nervature, il taglio delle foglie in nastri sottili, la successiva bollitura, asciugatura e sbiancatura tramite un trattamento con lo zolfo. La trama risulta molto fitta, ma non rigida, in modo da creare un intreccio morbido e  indeformabile. Il panama risulta così un prodotto molto longevo e leggero: pare che per ottenere questo risultato la lavorazione avvenga solamente nelle prime ore del mattino, quando l’aria è più fresca e aiuta a evitare la rottura delle fibre. Il colore, che va dal bianco al miele, dipende esclusivamente dai passaggi di lavorazione della toquilla mentre l’unica decorazione, per tradizione, è una fascia nera.

Ernest Hemingway iniziò a indossarne uno durante il suo soggiorno a Panama e, secondo gli esperti di eleganza, per indossarlo bene è necessario avere lineamenti marcati e zigomi alti. E, come se il tempo si fosse fermato, ancora oggi il cappello panama resiste alle mode distinguendosi per unicità ed eleganza.

Testo di Federica Giuliani | Foto web

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