Le Shetland, una volta conosciute solo per l’omonima pregiata lana, sono isole popolate da variopinti uccelli che ne disegnano i cieli, ma che proprio in queste terre selvagge hanno scoperto il loro habitat ideale.
Nei sogni di tutti noi, credo, c’è un posto in cui pensiamo, un giorno, di rifugiarci ad attendere in serenità l’ultimo tramonto. Nei miei c’è l’immagine di una scogliera ventosa, una piccola casa con una grande vetrata illuminata dall’oceano e un cannocchiale per non perdere mai di vista il volo delle sule. Ecco, è così che vorrei fosse il mio viale del tramonto! Se si è capaci di emozionarsi di fronte al nido di un fulmaro o commuoversi alla vista di un pulcinella di mare al primo volo o, ancora, restare muti e stregati davanti a una tempesta invernale, allora non sarà difficile
comprendere perché le Shetland non cessano mai di richiamarmi indietro dopo ogni partenza. Posizionate circa 150 km a nord delle coste scozzesi, sul 60° parallelo, l’arcipelago è un mosaico di piccole isole disposte intorno alle tre maggiori, Mainland, Yell e Unst. Da quasi due miliardi di anni sono le sentinelle della Gran Bretagna, mai uguali a se stesse, a causa dell’azione costante dell’Atlantico e delle bufere, che ne modellano continuamente l’aspetto. Le ripide falesie che sfidano l’oceano e le solitarie brughiere spazzate dal vento sono l’habitat privilegiato di una grande varietà di uccelli marini, così come le scogliere e le spiagge danno ospitalità a nutrite schiere di foche. Le Shetland sono isole dure, difficili e schiette, che lasciano poco spazio ai compromessi della civiltà. Fino a meno di quarant’anni fa, terra e mare decidevano l’esistenza degli isolani: o si andava a pescare, rischiando ogni volta la vita, o si viveva col poco che un’agricoltura di sussistenza poteva dare. Per i più fortunati, c’era la pastorizia, perché la lana delle pecore di razza Shetland era fra le più apprezzate in Europa. Negli anni ’70, al largo delle coste, vennero scoperti immensi giacimenti di petrolio e iniziò la costruzione del più grande terminale petrolifero d’Europa a Sullom Voe, sul versante nord orientale dell’arcipelago, che portò benessere a tutti. Si temette per la salvaguardia dell’ambiente, ma le cose non andarono poi tanto male, grazie a una imponente serie di misure di tutela ambientale che hanno garantito l’ecosistema. Basti pensare, ad esempio, che nel porto industriale di Sullom Voe vivono tranquillamente le foche e si sono perfino stabilite le lontre, note indicatori biologici. Prima del 1993 Shetland altro non era che il nome della lana pregiata prodotta dalle pecore di queste terre, sconosciute praticamente a tutti. Poi, il
5 Gennaio di quell’anno, la petroliera Braer si arenò nella baia di Quendale, riversando in mare e sulle coste migliaia di tonnellate di greggio. Solo allora il mondo si accorse che questo Paradiso naturale esisteva da millenni e rischiava di scomparire in poche ore. Fortunatamente le terribili condizioni atmosferiche che impedirono agli uomini della protezione ambientale qualsiasi tentativo di limitare i danni furono le stesse che, spingendo al largo il petrolio e favorendone la rapida evaporazione, salvaguardarono le isole dalla distruzione. Le Shetland furono salve e con loro tutti quelli che, come me, non sopporterebbero di vedere morire uno degli ultimi luoghi selvaggi d’Europa. Le Shetland, in breve, sono tornate a essere un paradiso naturalistico, che richiama appassionati di bird watching da tutto il mondo. Questo intricato mosaico di terre e acqua vedeva, un tempo, la presenza di betulle, sorbi e pioppi tremuli. Poi, con la complicità della pastorizia, il territorio si è lentamente trasformato e oggi è privo di alberi spontanei, ma il paesaggio conserva un fascino particolare, con grandi prati verdi che terminano sul ciglio di impressionanti scogliere. Ed è proprio qui che nidificano le più interessanti specie di uccelli nordici. A cominciare dai pulcinella di mare, simpatici uccelli grandi quanto un piccione, ma dall’aspetto buffo e curioso. Popolano un po’ ovunque le coste delle Shetland ed è facile scoprirli sulla sommità delle falesie, intenti a sorvegliare la tana, in attesa di decollare per una battuta di pesca. Il nido viene costruito all’interno di un cunicolo che loro stessi scavano servendosi dell’unghia del secondo dito e del grosso becco. Quando il terreno è troppo duro, non si fanno
scrupolo di occupare le tane dei conigli selvatici. C’è un solo modo per avvicinarli senza che si spaventino: farsi accettare! Restare bassi, muoversi in maniera impercettibile e quando tendono ad innervosirsi, restare immobili; poi si ricomincia ad avanzare molto lentamente. Senza fretta, è possibile arrivare in mezzo ai pulcinella e loro non si muoveranno, circondando l’ospite senza paura. Ho fatto così, trascorrendo un intero pomeriggio a pochi centimetri da loro, ammirandoli tornare dal mare con 3 o 4 pesci trattenuti nel becco. In tal modo sfamano il loro unico piccolo, senza incessanti battute di pesca. Quando mi chiedono di indicare il luogo più interessante delle Shetland, rispondo che non esiste “un luogo” in quanto ogni isola dell’arcipelago è “il luogo più interessante”. Per studiare le sule, bisogna camminare lungo le scogliere dell’ Hermaness National Reserve, nell’isola di Unst. Oppure andare a sud, a Noss, affittare una barca e raggiungere la scogliera di Noup. Se si vuole conoscere la storia delle isole bisogna spingersi ancora più a sud, a Jarlshof; lì c’è la preistoria. A Mousa si trova il broch meglio conservato, una delle antiche torri, presenti anche altrove ma non così belle. Per fotografare le foche grigie e comuni, si può restare a Mousa, ma se si vuole capire il carattere della gente bisogna stare un po’ nel capoluogo, a Lerwick. Le Shetland non sono molto estese e un breve soggiorno è sufficiente per vederle. Per capirle, però, per cominciare ad amarle e sentirsi parte di esse, è necessario più tempo, anche se spesso non occorre fare altro che camminare sulle estese torbiere di Yell, starsene seduti sul ciglio di una falesia mentre imperversa un acquazzone, confondersi con la gente in un pub di Lerwick in una notte di bufera o restare svegli intere nottate per scoprire dove si nascondono gli uccelli delle tempeste nel broch di Mousa. A patto che sia quello che si cerca! Gli scozzesi sono come le loro terre e vengono spesso definiti rudi e scontrosi: in realtà, sono soltanto orgogliosi e fieri della loro storia e del loro paese, che considerano una nazione; per il resto, hanno una gentilezza e una disponibilità che raramente capita di incontrare in altri paesi. Chi si trovasse l’ultimo martedì di gennaio a Lerwick per assistere al Up-Helly-Ag, in un primo momento mi smentirebbe con decisione. Si tratta del “Festival del Fuoco” ed è la più grande celebrazione vichinga della Gran Bretagna. Uomini in abiti e fogge tradizionali, dall’aspetto spaventoso, si misurano in giochi rituali, balli e antiche celebrazioni pagane, che terminano con l’incendio di una “galea”. Tutta la selvaggia aggressività dell’antico popolo nordico è rievocata con tale realismo da far credere che gli interpreti non stiano recitando, ma esprimendo concretamente se stessi e il loro feroce carattere; tuttavia quando, più tardi, si ritrovano quelle stesse persone al pub, si scopre tutta la loro generosità e allegra esuberanza. Una volta un amico di qui mi disse: “Se dovessi trovarmi, un giorno, in grave difficoltà e avessi bisogno di aiuto, vorrei avere accanto soltanto uno scozzese”. Quelle parole le ricordo ancora come fosse ora, ora che quello scozzese con la barba bianca e lo sguardo intenso, accanto a noi non c’è più.
Testo di Pier Vincenzo Zoli | Foto di Mauro Camoran
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