Indonesia autentica: la spiaggia delle balene

Continua il viaggio nel sud est asiatico: seguendo il consiglio di un inglese incontrato lungo il tragitto, Angelo Zinna scopre un luogo affascinante quanto autentico dell’Indonesia, il villaggio di Lamalera, dove si pratica la caccia alle balene.


Ogni mattina, verso le sette, l’inglese con cui condividevo la camera a Dili si alzava, seminudo di fronte allo specchio si pettinava all’indietro i lunghi capelli unti, si vestiva e usciva per una passeggiata. Quando tornava, due, tre, quattro ore dopo, il resto dell’ostello stava facendo colazione. Lui tornava a letto. Dove questo eccentrico personaggio andasse non sono riuscito a capirlo durante la mia breve permanenza, ma fu lui a raccontarmi del curioso villaggio di Lamalera. “Non volevo ripartire” mi diceva disegnando una cartina su un pezzo di carta strappata dal mio diario, senza guardarmi in faccia per non perdere concentrazione – “Devi andarci”. E fu così che, preso dalla sindrome della mappa segreta, decisi di abbandonare l’itinerario prefissato e deviare per l’isola di Lembata, sulla punta più orientale dell’Indonesia, per andare a vedere cosa succede da quelle parti.

Scopro successivamente che Lonely Planet gli dedica alcune righe e che quest’isola non è del tutto inarrivabile, ma che allo stesso tempo è difficile fare affidamento sui mezzi a disposizione e, come scoprirò una volta per strada, programmare le tempistiche è praticamente impossibile. Superato il confine indonesiano, arrivo a Kupang pronto a mettermi in mare per raggiungere l’isola di Flores, l’isola dei fiori, come l’avevano intitolata i portoghesi, e dopo tredici ore nella nube di fumo che chiamano Economy Class, raggiungo il piccolo porto di Larantuka, che si affaccia su quella coda di scorpione che è l’arcipelago delle isole Solor e Alor. Da qui mi viene indicato un piccolo traghetto che insieme a un’altra ventina di passeggeri mi porta a Lewoleba, il principale villaggio dell’isola di Lembata.

Al mattino trovo la camionetta che si dirige a Lamalera. Salto su e si parte per il viaggio che coprirà i miseri 65km in quattro lunghe ore. Non c’è una parola che possa descrivere le condizioni della strada che collega i due villaggi, soprattutto dopo una notte di pioggia. Due vecchie contadine dormono, il continuo rimbalzare causato dal percorso è poco più di un massaggio per chi questo tragitto lo ha visto centinaia di volte. Per gli altri però viaggiare a quindi chilometri all’ora non basta, almeno due persone vomitano, altrettante si spostano nell’abitacolo dell’autista.

Lamalera è surreale. Quando arrivo è l’ora della messa. Il minuscolo villaggio è deserto e tutto quello che riesco a vedere, sulla spiaggia, intorno alle abitazioni, ai lati della strada, sono le ossa più grandi che abbia mai visto. Vertebre sulle quali mi potrei sedere spuntano in ogni angolo, costole della mia altezza si appoggiano alle pareti di bambù. Sono le balene, la ragione di esistere di questo luogo così isolato, così lontano dalla civiltà. E i resti sono sparsi ovunque si guardi, come sculture di granito a decorare questo ambiente. Il villaggio lascia la chiesa, si riversa per strada. Salutano, ridono di me che osservo queste ossa.

Le balene oggi non ci sono, la stagione comincia ad aprile, e conto una quarantina di barche arenate sulla sabbia, tutte dipinte, tutte pronte a tagliare le onde alla ricerca del mammifero più grande del mondo. La caccia delle balene è una tradizione antica qui a Lamalera e tutti sembrano andarne fieri. Durante la stagione bagnata il villaggio dorme, ma è con l’arrivo del secco che gli abitanti si svegliano e cominciano a osservare l’orizzonte dalle loro baracche. Non ci sono ristoranti a Lamalera, non ci sono mappe o indicazioni. Due guesthouse affittano camere a chi vuole visitare e quando bussano alla porta, il mangiare è pronto.

Quando mi è stato raccontato dei cacciatori di balene, la prima immagine che mi è apparsa è stata quella delle navi di Greenpeace che tagliano la strada ai pescherecci giapponesi. Mi è venuto in mente questo business milionario che è lo sterminio di creature così grandi ma così delicate, di queste tonnellate di carne che galleggiano leggere negli oceani, questi animali così pacifici che hanno nuotato di fronte alle persone sbagliate. Senza ipocrisia, sapendo che agli animali che ogni giorno ci troviamo sul piatto capita un destino assai peggiore, a Lamalera non sono venuto a giudicare. Quello che accade qui è considerato accettabile in quanto è nient’altro che un’attività di sussistenza, e quindi sostenibile. Gli togli le balene, gli togli tutto. Non è certamente una scusa, ma è il miglior modo per descrivere la situazione di un luogo in cui il mercato del sabato funziona ancora tramite il baratto.

Mi rimetto per strada verso la civiltà, riflettendo su questo luogo che così tanto affascina e incuriosisce. Mi guardo indietro e ciò che vedo è una foto sbiadita, di quando l’uomo e la natura ancora lottavano ad armi pari, di quando, lanciandosi in mare l’unica alternativa ai radar, alla tecnologia, alle armi, era incrociare le dita.

Testo e foto di Angelo Zinna – Exploremore