Mostre d’arte. De Nittis a Padova fino al 26 maggio 2013


Finalmente in Italia – a Padova fino al 26 maggio – una mostra dedicata a Giuseppe De Nittis, evento rarissimo e formidabile non solo per conoscere la maestria di uno degli artisti più appassionati e al contempo delicati del XIX secolo, ma anche per assaporare lo spirito culturale travolgente ed eccitante vissuto da un’epoca ignara degli orrori in cui il centenario successivo sarebbe annegato.

Personalità potente quella di De Nittis, capace di proiettarlo, lui ragazzino orfano, sino ai vertici del successo internazionale, dalla Puglia a Parigi, a Londra, ai mercati d’oltreoceano; lui che diventa pittore contro tutto e tutti, disubbidendo ai tutori, ribellandosi alle scuole d’arte, attraversando l’Italia e l’Europa per costruirsi il proprio destino; lui che nasce col sole del Meridione negli occhi e diventa il miglior interprete delle nebbie e dei freddi del Nord; lui che impara a dipingere magistralmente le silenziose campagne del Sud per poi lambire la perfezione quando ritrae la frenesia metropolitana della Ville Lumière; lui che nasce intriso della cultura romantica d’inizio secolo, ne beve a fondo il realismo, si disseta di Macchiaioli e verismo, si infradicia di paesaggismo campano, approda con nonchalance all’impressionismo francese, e soprattutto diventa e rimane sempre e solo De Nittis. Infine, lui che, complice anche la bellissima storia d’amore con la moglie, adorava entusiasta la vita e il suo mestiere, a dispetto del male di vivere che da sempre affligge tanti artisti, e lui che invece morirà a soli trentotto anni.

Ci ha lasciato una produzione sterminata, e plurale nelle tecniche, dagli olî ai pastelli, dai panorami rurali e cittadini ai ritratti e alle scene d’ambiente. A Palazzo Zabarella sono presenti 120 opere, esaustive della sua ricerca espressiva. Vediamone alcune.

L’Ofantino (1866), appartenente al periodo verista della Scuola di Resina e organizzato su piani paralleli, fa sfoggio di virtuosismi calligrafici, con minuzie nei primi piani, la luce declinata sulle distanze, l’orizzonte imponente nelle sue foschie di montagna. L’inquadratura è fotografica, raccoglie dettagli travolgenti, come la manica del fanciullo appoggiato al muretto, la pozza d’acqua, le ombre sull’erba. Vittorio Imbriani disse che quando si esegue un dipinto come questo o si è sulla via del progresso indefinito o si ha già esaurito tutte le possibilità…

Sulle rive dell’Ofanto (1867), contagiato dalle ricerche dei macchiaioli, questo olio supera serenamente l’ipertrofia icastica del periodo precedente, sviluppando una nuova capacità di sintesi compositiva dove le pennellate si diffondono libere da patine e contorni paralizzati. Oltre metà del dipinto è occupata dal cielo pugliese, e insieme con l’estremo formato orizzontale ciò ne sospende il tempo dilatandolo nell’infinito senso di calma estiva dei campi. Tutto è velato, morbido, soffuso, lento, fino a dar l’impressione che ciò che si è dipinto non sia un territorio bensì un’atmosfera.

Il passaggio degli Appennini (1867), suo primo grandissimo successo, fu in seguito acquistato dal re d’Italia. Lo stesso soggetto rappresenta forse il manifesto dell’artista, una semplice strada di campagna dove nulla meriterebbe d’essere immortalato e appunto perciò può assurgere a protagonista; una diligenza vista di spalle che si allontana nel suo viaggio incontro al destino, la prospettiva di ampio respiro, tanto cielo, tanta aria e nubi e temporali all’orizzonte, sopra le povere cose terrestri. L’esecuzione è raffinatissima, i dettagli sono appena accennati ma assolutamente vitali, l’effetto è sorprendente.

L’amazzone al Bois de Boulogne (1874), in pieno periodo parigino, ne racconta la mondanità con spirito cronachistico, portandovi un taglio personale e inconsueto: la vicenda principale è spostata a lato mentre sulla scena compaiono come per caso gli elementi secondari dello sfondo, come se un fotografo distratto avesse mal inquadrato l’obiettivo. In realtà si tratta di un escamotage per compiere digressioni narrative a latere, grazie alla visione prospettica obliqua che raccoglie altre figure e altre storie. La pennellata qui è decisamente vibrante, minuta nella resa dei particolari vicini, nei pizzi, nella pelle arrossata dal freddo, più breve nei tocchi lontani, fino a sgranarsi negli sfondi.

Piccadilly – Giornata invernale a Londra (1875), dipinto durante la permanenza in Inghilterra, venne richiesto per l’astronomica cifra di 60.000 franchi. È l’apoteosi del movimento a differenza della quiete respirata nei panorami rurali del decennio precedente: qui tutto è in moto, il dinamismo vortica dalle persone alle carrozze al giornale strapazzato dal vento, e perfino i colori sembrano ingarbugliarsi fra loro insieme coi riflessi delle pozzanghere. In esposizione a Parigi fece scalpore sul pubblico plaudente non abituato a immaginare un tale modo di dipingere.

Westminster (1878), ennesimo successo, ne fu subito apprezzata la vaporosità misteriosa del palazzo, la leggerezza del tocco malinconico che pare confondere ma in realtà illustra dettagli altrimenti invisibili. La tensione è data dalla smaterializzazione dei soggetti causata dalla rifrazione luminosa delle foschie, mentre la diagonale prospettica del ponte in uscita dalla tela compensa la stasi opprimente della nebbia sul fiume.

Giornata d’inverno – Ritratto di madame De Nittis (1882), ovvero la sua amata moglie Léontine Gruvelle. Scegliendo qui ancor prima di Degas il pastello in luogo dell’olio, l’artista esibisce altrettanta maestria tecnica, producendo effetti inusitati, e avvolgendo la figura in una evanescenza luminosa che stupì critici e colleghi contemporanei, e da De Goncourt fu definita “La più straordinaria sinfonia della bianchezza”.

Il salotto della principessa Matilde (1883), firmato nell’anno della scomparsa dell’amico Manet, testimonia la raffinatezza di un ricevimento mondano grazie alla parimenti sofisticatissima tecnica pittorica utilizzata. La precisione dei particolari è sublime, ma essi rimangono sempre filtrati dall’impalpabilità delle pennellate che paiono non condensarsi mai su un solo contorno, cosicché il risultato non è mai statico bensì continuamente cinetico, come appunto in un movimentato e festoso salotto.

Info: Mostra De Nittis

Testo di Andrea B.Nardi

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