Continua il viaggio di Angelo e Lorenzo nel sud-est asiatico: questa volta ci portano sull’isola di Komodo, in Indonesia, alla ricerca del famoso drago.
Arrivarci forse non è stata la cosa più semplice, così come ripartire, ma senza dubbio raggiungere Labuan Bajo è stato un viaggio che è valso la pena. Dal mio ingresso in Indonesia, i turisti incrociati sono stati ben pochi. Conto sulle dita le parole che ho scambiato con altre persone nell’ultima settimana, un po’ per il maltempo che impedisce molte attività, un po’ per il breve tempo a disposizione sull’isola di Flores che mi ha spinto a percorrere tutta l’isola in pochi giorni da est a ovest. Da Larantuka, sulla punta orientale bus dopo bus, curva dopo curva, ho raggiunto la principale destinazione per i visitatori qui a Flores, l’isola dei fiori, come la intitolarono i portoghesi al loro arrivo. Quasi venti ore per percorrere una distanza che in linea aerea si stende per poco più di 300 km, per giungere al porto di accesso al leggendario Komodo National Park, il gruppo di isole che ospita la lucertola più grande del mondo. Da una trentina d’anni questa area è territorio protetto e i suoi famosi abitanti oggi superano i 5.000 esemplari. Su Komodo non si va da soli e non si può dormire se non in particolari condizioni, è quindi necessario partecipare a un tour organizzato. Questo può essere messo su in modo indipendente, presentandosi al porto con un giorno di anticipo e contrattando il noleggio di una barca con i marinai, oppure aggregandosi a un gruppo già formato, quando questo è disponibile, in una delle numerose agenzie sulla strada principale. I draghi di Komodo sono la principale attrattiva per chi arriva a Labuan Bajo e buona parte dell’economia di questa città gira intorno a questa particolare presenza.
Essendo da solo, trovare una nave che mi portasse sull’isola si è rivelato più difficile del previsto. Per poter spendere una cifra accettabile almeno quattro persone devono unirsi per il noleggio di una barca con capitano. Essendo tutti in attesa di un ciclone dall’Australia, però, al mio arrivo nessuno sembrava volersi muovere dal porto. Neanche le grandi navi a cui mi affidavo per proseguire il viaggio. Ero così bloccato a Labuan Bajo, e giorno dopo giorno mi svegliavo nella speranza di trovare il cielo aperto, ormai considerando l’opzione di dover lasciar perdere una visita ai rettili di cui così tanto avevo sentito parlare. La soluzione più comune per chi visita Komodo è quella dei due giorni e una notte. Si parte la mattina presto e ci si dirige verso Rinca, la prima delle isole che formano il parco nazionale. Dopo un trekking in collina, nel quale oltre ai dragoni è possibile incrociare cervi, bufali e se si è fortunati cavalli selvaggi, si raggiunge il punto più alto da dove una vista a 360 gradi si affaccia su tutte le isole circostanti. Tante, ma solo una minuscola parte delle 17.000 di tutta l’Indonesia. Si prosegue poi per il parco marino, dove ci si tuffa in acqua per nuotare tra tartarughe giganti, coralli di ogni forma e banchi di pesci fosforescenti, finchè si raggiungono le coste di Komodo. Qui si dorme sulla barca, pronti a svegliarsi all’alba per eslporare l’isola nel momento più fresco della giornata che è anche l’orario di maggiore attività dei Draghi.
Avevo rinunciato ormai a partire quando vengo fermato per strada da un buffo personaggio, scalzo e dal baffo ancora unto di nasi goreng, il riso fritto che è qui il pasto di ogni giorno – “Komodo?” mi chiede. Lo seguo: ho finalmente trovato un tour. Aggregandomi ad un gruppo in partenza per una cinquantina di Euro, poco più della media, mi imbarco su un peschereccio lentissimo che tagliando le onde di un mare azzurro costeggia decine di isolette deserte fino ad arrivare a Rinca, dove una guida appena ventenne ci aspetta impaziente. Una guida ogni cinque persone a Komodo è obbligatoria, gli attacchi sono ancora frequenti e i soccorsi lontani. Ci viene raccontato dell’ultimo attacco letale, della bambina del villaggio locale scomparsa nella giungla solo pochi anni fa. L’ultimo attacco fatale registrato ad un turista però risale agli anni settanta, periodo in cui un barone svizzero in visita all’isola, separatosi dal gruppo è stato divorato vivo da un gruppo di Dragoni. Soltano gli occhiali e la macchina fotografica sono stati ritrovati. Passando accanto a questi esseri all’apparenza dormienti, impariamo che se necessario possono correre, arrampicarsi e nuotare, che attaccano animali molto più grandi, come i bufali d’acqua tipici dell’Asia meridionale e che la loro forza non è nel fisico, ma nel veleno, nei batteri, e nella sporcizia delle loro fauci. I draghi di Komodo sono cannibali, mangiano i propri figli e digeriscono anche le ossa. E la guida che ci accompagna per poche decine di Euro al mese scherza su queste curiosità ogni giorno dell’anno.
Testo, foto e video di Angelo Zinna – Exploremore © RIPRODUZIONE RISERVATA