All’alba di un viaggio estivo in Islanda, la notte del 21 Marzo 2010, al buio sul divano, d’improvviso mi alzo e scrivo:
La Terra chiama, Ogni giorno che passa, il pulsare come di un tamburo aumenta di frequenza. L’Islanda mi sta entrando sottopelle: è il magma che vibra, è il ribollire del vapore acqueo che mi invita. Mi si rende sempre più chiaro il significato dell’espressione della ragazza autoctona nella foto sulla Lonely Planet: c’è della tristezza nel suo sorriso, c’è della solida sostanza nel suo sguardo in posa, c’è la consapevolezza dell’impermanenza, di essere figli di una Terra che ti concede e ti toglie. E c’è la forza, quella ereditata dagli avi, un’energia vichinga che mutua dalla Terra la sua compattezza e fluidità, in un rapporto vero e fiero tra uomo e natura, una monade tra potenti, una potenziale contraddizione, una potenziale pacifica convivenza.
La Terra chiama, trema, esplode, si placa… e le acque ferme e gelide, il cielo tempestoso e solare, il bianco e il nero, la pulcinella di mare, così buffa e graziosa, in bocca ad una volpe artica, guardinga e tenera.
L’asciuttezza del linguaggio umano e la calda solidarietà dell’esistenza, della umana appartenenza alla stessa specie, giacché mai come in questo Paese so che sentirò di essere un abitante, un animale, al pari degli altri.
La Terra chiama e i miei geni primordiali rispondono con eguali suoni, risvegliati in tutta la loro storia, la loro semplicità, la loro voglia di contatto.
La mente viaggia già tra i fili d’erba ed erra sul crine di cavallo, mentre alle spalle esplode le proprie viscere in aria ad occupare cielo e polmoni per chilometri. E sentirsi come a casa, sotto un vulcano in eruzione, sentirsi senza alcuna minaccia, con la certezza di avere una vita che ha il suo posto in questo mondo, incastonata nel fluire del tempo, tra le meraviglie che ancora ci attendono.
La mattina successiva accendo la tv ed apprendo, con stupore e un certo brivido su per la schiena, che il vulcano Eyjafjallajökull si era risvegliato nella notte dopo quasi 150 anni di inattività: rispetto al mio scrivere coincide pure l’orario, al minuto. E il vulcano Hekla che cito è vicinissimo al luogo dell’eruzione. Era vero, allora: la Terra aveva chiamato, ed io avevo risposto.
Testo di Fabio Artigiani, scrittore e poeta livornese © RIPRODUZIONE RISERVATA | Foto web
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