Calcutta: Kolkata, nel ventre degli slum


Un universo di segreti avvolti da ombre. Monumenti fastosi dell’epoca coloniale e slum di povertà vivono fianco a fianco. Nel suo eterno delirio, la città miraggio per milioni di diseredati, offesa dalla miseria e dal degrado manifesta tolleranza e solidarietà. Nel ventre degli slum dove si sopravvive, si ama e si muore. Un pianeta che non finisce mai di stupire e straziare. Oltre un miliardo di esseri umani vivono in India e tredici milioni solo a Calcutta.

Notte fonda. Aereoporto Internazionale Netaji Subhash Chandra Bose, 35° di temperatura e 95 per cento di umidità. Sulla strada che porta in Down Town, centinaia di stracci fatiscenti, neri per il sudicio, polvere e smog, ricoprono uomini, donne e bambini ammassati sui marciapiedi. Intere famiglie, nell’abbraccio “ristoratore” della notte trovano riparo in Sudder Street fino all’ingresso del Lytton Hotel. La domenica mattina sullo stesso marciapiede si allunga una fila di esseri umani seminudi, ammalati, affamati. Serrati, silenziosi in attesa di un pasto gratuito distribuito da un ordine di missionari. Una ciotola di riso con rape. Calcutta è la culla intellettuale dell’India, oltre che la più grande metropoli dell’impero britannico dopo Londra. Ha partecipato con impeto agli scossoni della storia sin dal 1690, anno della sua fondazione a opera di una manciata di inglesi della Compagnia delle Indie.

MAIDAN, LO SPAZIO VERDE

La perla del golfo del Bengala, città di poeti come Radidranath Tagore e di scienziati, è circondata da una delle regioni più fertili dell’India ma anche la più toccata da cataclismi annientatori. Il clima sembra essere il padrone della città e della campagna che la circonda. In un anno si possono avere migliaia di morti per la siccità e in quello successivo si può essere inghiottiti dalle acque dei fiumi ingrossate dai monsoni. Il Maidan, parola che in hindi significa “spazio aperto, ventilato, verde” racchiude il Victoria Memorial, il Forte William, la Cattedrale di San Paolo e l’Eden Garden. E’ il volto bello, antico e trasudante di storia. Ma i più sono di passaggio e scappano via in fretta. Commercianti, imprenditori, turisti restano chiusi nei grandi alberghi, senza sentire e guardare. Lontano dagli odori, dalle scene strazianti, dagli ingorghi da incubo. Lontano dai gath delle cremazioni, dal misterioso tempio della dea Kalì, dal lazzaretto della Casa del Cuore Puro, Nirmal Hriday.

ANAND NAGAR, IL VOLTO DEGLI SLUM

L’altro volto è al di là dell’Howrah Bridge che attraversa per 655 metri il fiume Hoogly . Costruito nel 1943, il ponte ha un’unica arcata sostenuta da due torri di 85 metri d’altezza poste sulle due rive del fiume. Ogni giorno più di 2 milioni di persone e centinaia di migliaia di veicoli lo attraversano. Il traffico è tanto intenso da farlo vibrare in modo impressionante. Dal fiume e dai canali salgono effluvi nauseabondi, l’aria è irrespirabile e rovente. La stessa che si respira negli slum dove si muore per dissenteria, febbri virali, malaria e fame, tra scorribande di scarafaggi e topi. Isole di miseria e nobiltà. Di slum a Calcutta ce ne sono molti, circa 3000. Uno, per assurdo, si chiama Anand Nagar, “città della gioia”. Senza una goccia d’acqua potabile, in mezzo al fetore, al fango, alla morte sempre in agguato, vivono induisti, buddisti, musulmani e cristiani. Qui la religione non divide ma unisce. Arrivano da sperduti villaggi con negli occhi il miraggio della grande città. Fuggono dai monsoni, dalle carestie. Prima tappa i marciapiedi della città. Seconda, le baracche lungo la ferrovia abbandonata, sulle rive dell’Hoogly.

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