Dolomiti. Herr Catinaccio



Dalle parti lì di Moseralm, melodiose e cristalline voci di walchirie risuonano nel bosco, deliziando l’anima ed il cuore. Sono delle bionde e giovani ragazze che montano a cavallo, molto ben vestite e completamente accessoriate. Io salgo lo stradone camminando svelto, inspirando forte nei polmoni l’effluvio caratteristico del pino e quell’aria pura e candida che pare davvero medicina. Oltre i rami dei larici maestosi, scruto le torri alte e minacciose velate dalle brume di Herr Catinaccio: le quali svettano imponenti su malghe incantate ed argentee pietraie.Sono scure ed offuscate perchè non ancora illuminate dalla luce sublime di dio Febo. Mi insinuo tra gli abeti che delimitano i prati assai ben tenuti e tagliati, dal colore verde ubriacante.

Lo scintillio dei pascoli ha qualcosa di divino ed esaltante, nella generosa e vitale estasi del mattino estivo. Tre uomini del posto falciano ancora le erbe a mano, arrotando la lama con gesti antichi e rituali, alla stregua di braccianti del maso Norico o Ladino. Nel seno della foresta immota, il rumore sordo del limpido torrente sembra proprio l’eco del gorgoglio d’uno stomaco affamato, un sussulto di presenza umana.Una simbiosi unica dell’ambiente immacolato. Nella paradisiaca contemplazione del fiabesco luogo, il silenzio più assoluto è rotto solamente dal ronzare d’un elicottero molesto.Il bosco si rivela così gradevole ed ammiccante da non apparire vero, bensì un dipinto della scuola naturalista olandese del ‘600.

Invece nell’inverno è tanto ostile ed insidioso, da provocare mortali tragedie inaspettate.Il sudore cola a fiotti dalla fronte mia, in guisa d’acqua che sgorga da sorgente.Intanto entra pungente nelle nari il vegetale aroma dell‘Arnika e della Poa, della Bocca di Lupo e dell’Erica, in un resort o in una Spa di cure a cielo aperto. Gruppi allegri di mamme e di papà spingono in su i pupi dentro i carrozzini, come fossero da mesi in cammino verso la terra promessa della felicità eterna.

Mentre spesso la sospirata meta è giusto un gustoso e vicino piatto di polenta.Eccolo allora che si scorge tale a miraggio nel deserto, il bel rifugio agognato sull’alpeggio.E mai parola fu nello stesso modo appropriata! Annuso già odor di capriolo e “finferli“, bagnati con locale Radler di birra e limetta. Sdraiato ordunque sulla panca, mi lascio accarezzare dalla brezza fresca che ristora e dal sentor di resina che inebria.

Intanto l’orda ritrita di turisti rumoreggia imperterrita alla grande, in pefetto stile “cafonal”. Tutti beceri e stardandizzati a disquisire del proprio cane e del gatto, a mirar le bovine bruno-alpine quasi avessero parvenza di alieni scesi or ora e non di tipiche bestie della zona. Sono bifolchi con i soldi, poi tornati a casa non ricorderanno neppure il nome della cima amena che avevano di fronte. Infine un paracadute rosso con un uomo vola giù per gli erti fianchi di sua eccellenza la montagna, a profanare e violare la natura intatta.Il signor Catinaccio osserva nervoso ed incacchiato, provando pietà per quei terrestri inavadenti..

Testo di Luigi Cardarelli

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