Etna. Smoke gets in your eyes


“Hai il fumo negli occhi” cantavano i Platters, Frank Sinatra e Nat King Cole tanti anni fa. Fumo che invece ha risparmiato il nostro inviato,  consentendogli queste splendide immagini dell’Etna da un punto di vista insolito.


Etna


Quante volte in sogno
ho battuto le ali
per staccarmi dal mondo.
E  osservarlo  lontano
felicemente estraneo,
presente nel suo respiro.

Nell’aria gelida e azzurra
tersa di lacrime
di briciole umane.
Sfiorare pendii
e i miei baratri
il fuoco
che arde profondo.

E il magma confuso
che sempre riaffiora
tra sbuffi e vapori
spaventoso
seducente
raffredda nel verde
di prati e pastori.
Di pace
che cerco e non trovo.

Solo un fremito
abbraccia
il passare dei giorni
il ricordo di anni
di canti.
Una vita.
Legato a un granello
chiamato Terra.


Federico Klausner               © RIPRODUZIONE   RISERVATA





Con 3350 metri di altezza L’Etna è il vulcano attivo più alto di Europa. Sorge sulla costa orientale della Sicilia nella provincia di Catania. Quest’anno è stato inserito dall’UNESCO nel Patrimonio dell’Umanità per i suoi pendii caratterizzati da una ricca varietà di ambienti, che alterna paesaggi urbani, folti boschi, che conservano diverse specie botaniche endemiche, e aree ricoperte da lava e da nera roccia vulcanica, che d’inverno cambiano livrea e divengono candide.

Una serie di rifugi accoglie gli appassionati di passeggiate e trekking che nel periodo invernale si convertono in piste da sci servite da una funivia. La particolarità del Mungibeddu , come lo chiamano i siciliani, è la sua altezza combinata alla sua prossimità del mare, che permette di passeggiare in montagna nell’aria carica di salsedine, tra i profumi delle zagare e dei gelsomini in primavera e dei funghi in autunno.

Legate ‘a Muntagna ci sono numerose leggende. Casa, per evidenti motivi, di Vulcano (Efeso) dio del fuoco, ospitò anche Eolo, il dio del vento, che ne approfittò per imprigionare nelle sue viscere tutti i venti del mondo. Più che una casa un condominio: anche Tartaro, il mondo dei morti, per i greci era situato proprio sotto l’Etna. Date le dimensioni della montagna c’era ancora spazio, da Zeus  destinato ai Titani, sconfitti durante le complesse fasi della sua ascesa al trono degli dei.

Una sorta di campo di lavoro forzato, che Zeus si premurò di arredare con attrezzature, soprattutto fucine, in cui i malcapitati dovevano forgiare le famose saette, delle quali il re degli dei  faceva largo uso quando, nei frequenti scatti d’ira, decideva di fulminare qualcuno. I Giganti, loro turbolenti fratelli, cercarono di vendicarne l’iniquo trattamento subito e nella Gigantomachia si narra iniziassero a scagliare massi e tizzoni ardenti verso il cielo – praticamente una eruzione – cercando di detronizzare il despota saettante. Sconfitti, anch’essi furono puniti  da Zeus che, incurante dei preoccupanti indici di affollamento,  li fece schiacciare dall’enorme mole dell’Etna.

In tempi più recenti Sant’Agata, venerata protettrice di Catania, dopo il martirio fu subito arruolata per contenere l’inquieto vulcano.  Si narra che durante l’eruzione del 252 d. C., il popolo catanese prese il velo rosso della Santa, miracolosamente risparmiato dai lapilli, invocò il suo aiuto e l’eruzione terminò d’incanto. Ancora oggi, nella processione di Sant’Agata, si continua a chiedere la sua protezione preventiva contro i malumori dell’Etna.

L’ospite più illustre del condominio sotterraneo del vulcano è però sicuramente Elisabetta I d’Inghilterra. Una leggenda inglese narra che avesse fatto un patto con il diavolo, per ottenerne l’aiuto e regnare più a lungo. E in effetti funzionò, dato che il suo regno durò ben 45 anni. Alla sua morte, nel 1603, il diavolo venne a reclamare la settantenne sovrana, la portò in volo e poco galantemente la scaricò nel cratere dell’Etna, porta dell’inferno. Ad attenderla, nel ventre della montagna, secondo l’immaginifica leggenda, non trovò niente di meno che Re Artù il quale, ferito gravemente in battaglia, si era prima di lei rifugiato nel ventre del vulcano. Ovviamente senza la lignea Tavola Rotonda, incenerita.


Testo di Federico Klausner | Foto di Vittorio Sciosia © RIPRODUZIONE RISERVATA



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