Il bus seminuovo ricominciò a salire, sebbene Cuzco si trovasse già sui 3400 metri, inerpicandosi facilmente in su verso l’altipiano di Chinchero, lasciando sulla destra l’enigmatica fortezza del Sacsayhuaman e una riproduzione francese del Corcovado di Rio. Quassù ogni anno a giugno si celebra l’Inti Raimi, la festa più bella del Perù. A 4000 metri pochi alberi e niente boschi, soltanto una pianura vasta dalla temperatura tiepida; sembra proprio che sia nata addirittura in questa zona la papa, la nutriente patata. Uno stop turistico e commerciale per ammirare una ispanica e sperduta chiesa coloniale con dei preziosi affreschi, mentre di fronte le signore andine offrono la mercanzia distese a terra sulle coperte colorate. Il regno sudamericano della tipica donna col cappello, dal naso grosso e la faccia così tanto rossa. Sopravissute testimoni della ricca civiltà degli Incas, dei signori delle alture e delle strade, degli oggetti in oro e le coltivazioni terrazzate.
Estasiato dalla malia struggente di un folklore unico e tuttora intatto. Poi la stretta carrettera se ne scende giù fra canyons e gole, coi burroni aperti senza guard rail, planando quindi tra verdi valli amene prive di vegetazione arborea. Allorchè fuori da un piccolo corral non appare il caratteristico abitante della sierra, il meraviglioso ed elegante lama. Pisac e le sue vestigia di “valle sagrada” ci accolgono in un tripudio di sole e vivide tinture, il mercato ben fornito e perfetto per lo shopping a basso costo di splendide borse artigianali e lane caldissime di pura alpaca. Le case antiche del villaggio in pietra sembrano finte per davvero, fanno rivivere i secoli passati e le società arcaiche.
Dovunque vado mi ritrovo dietro un peruviano che vende qualcosa, tal quale un ottimo segugio addestrato all’uopo. Le gustose empanadas e la coca cola surrogano il pasto, prima di proseguire verso gli epici resti del maniero di Ollantaytambo, dove nel 1537 gli ultimi guerrieri di Manco Inca opposero l’estrema resistenza ai conquistadores ormai vincenti di Almagro e Pizarro. Tra i gradini e i bastioni larghi di quello che fu il baluardo finale alla conquista, passeggiano escursionisti colti, educati e accessoriati, assieme alle guide locali, con giacche in pelle e lo stile fascinoso. Anch’io con la mia borsa a tracolla in tela e finiture in cuoio, mi sento come un eclettico professore universitario tipo Indiana Jones. I bus sono molti e girano a fatica nella piazzetta dove sostano ammassati.
In vero pochi i negozi, zeppi però di fine artisaneria, in cui fanno colpo le cartoline di colori lucidi e sgargianti. Su tutto è soffusa quell’aura accattivante di reperti archeologici, nell’oblio di battaglie spietate e sanguinose per il possesso di un impero. Ora però s’ode solo vento e quiete. Malgrado il più illustre e visitato Machu Picchu sia giusto a poca strada, Ollantaytambo è strapieno di gitanti. Non essendo neppure molto alto, il fastidioso mal di testa che chiamano sorroche non colpisce affatto, perciò non si vendono le classiche foglie di coca triturate, l’originario mate. Si riparte tornando per Chinchero, in direzione del brillante e lontano chiarore di quella che rappresentò qui la città per eccellenza, la leggendaria Cuzco. E lo stereo che continua a mandare quelle armoniose melodie della regione andina, della gente incaica. Ritmate ed avvolgenti dal flauto magico degli Inti Illimani.
di Luigi Cardarelli | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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