Poco dopo l’alba apparve infine la rocciosa costa di Sardegna, l’omerica e leggendaria terra dei Lestrigoni feroci. Scrutando attento dalla tolda della nave, subivo la forte presenza di un mistero, come se l’isola fosse il custode sacro di un segreto ancora non svelato. Forse il grande enigma della civiltà nuragica. Salgo in auto la stradina stretta verso i monti appena dietro Olbia, dove si vedono netti i segni della società pastorale, che ivi sempre domina: con le mansuete bovine bruno-alpine coi campani al collo e gli armenti docili in fila ai bordi della carreggiata. Un mondo ormai perduto ma che malgrado tutto riesce a sopravvivere, a 30 km soltanto dalla rinomatissima costa Smeralda del jet-set internazionale, uno dei miti mondiali della ricchezza, del potere e dello sfarzo più vistoso. Mi arrivano intanto fragranze di lentisco ed erica.
Oltrepasso quindi le pregiate colline di vigneti e le uve del fruttato Vermentino, odorando poi anche l’aroma del locale mirto e del prodotto dominante “su casu”, il formaggio. Lascio indietro le montagne che paiono granitiche piramidi, scoprendo in lontananza una pianura vasta e immensa. Tra i rilievi verdi di Ozieri ei suoi celebri cavalli arabi, mi infilo dentro una sottile nebbia azzurrina e uggiosa, mentre i raggi dorati del sole la penetrano appena un attimo, per poi più avanti dissolverla di colpo. Tal quale non fosse mai esistita. Prima d’entrar nella vallata, odo il sibilo imperioso del maestrale che s’alza da lontano nella gola del Rodano francese, mugghiando dopo minaccioso nelle bocche di Bonifacio tanto anguste. Le cime dei lecci e delle querce sono piegate da decenni, pure la bellissima pianta regina della zona, la sughera a gruppi o isolata. Nella giornata radiosa e scintillante, fa da vivido contrasto il verde intenso del suo fogliame, con l’ocra quasi vinoso del fusto, allorché resta privo di corteccia. Proseguo lentamente fra i campi degli erbai e di cereali, gli stazzi dei greggi semivuoti, i pastori dai loro tipici pantaloni di velluto nero o marrone scuro a coste.
Per un momento sovrappensiero mi immagino d’essere in una landa del nord Africa, o della Spagna andalusa, magari nella Corsica vicina o nell’agro romano dimenticato alle mie spalle. Sembra un mosaico tutto che permea e racchiude, l’intera natura mite e varia del mar Mediterraneo.Il vento dal nord continua a farla da padrone. Sulla destra andrei al mare tra il profumo dei gelsomini, a sinistra entrerei dritto dritto nell’arcaica ed ancestrale regione di Barbagia. Dove l’antenato sardo si rifugiò per scappare alle occupazioni dei Fenici, dei Cartaginesi e dei Romani. Poi per l’ora canonica del pranzo arrivo ad Ardara, di fronte alla magnifica chiesa romanica di Nostra Signora del Regno, dalla cappella palatina in tipico basalto nero. Proprio lì ammirando il panorama attorno, avverto brutalmente tutta la forza degli immensi silenzi di Gallura.
Testo di Luigi Cardarelli | Foto web
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