Ancora oggi rimangono ben visibili le rovine del Campo di Concentramento e Transito di Fossoli, nel modenese. Si stima che un terzo dei deportati ebrei del nostro Paese sia transitato per questo campo, inizialmente deputato ad accogliere i prigionieri di guerra inglesi e riconvertito ad anticamera dei lager del Reich a partire dal ’43. Circa 5000 prigionieri hanno lasciato Fossoli verso tragiche destinazioni quali Dachau, Buchenwald, Flossenburg e Auschwitz. Tra loro anche Primo Levi, che in Se questo è un uomo racconta la sua breve esperienza al Campo. Levi lasciò Fossoli nel febbraio 1944 con 650 prigionieri, stipati in un treno per Auschwitz.
Dopo la fine della guerra il Campo venne più volte riadattato a fini abitativi, cercando di eliminare o nascondere i segni del suo passato. Fino al 1947 fu impiegato come Centro di Raccolta per profughi stranieri, mentre dal ’47 al ’52 diventò sede della comunità di Nomadelfia per bambini abbandonati e orfani, arrivando a ospitare un migliaio di persone. Infine, dalla metà degli anni ’50 fino al 1970 l’area dell’ex Campo di Fossoli accolse i profughi giuliani e dalmati, dando vita al Villaggio San Marco. Da allora e per diverso tempo le strutture del Campo vennero abbandonate, fino alla nascita della Fondazione Fossoli alla metà degli anni ’90. La Fondazione, attualmente, si occupa del recupero e della valorizzazione dell’area, oltre alla promozione della ricerca storica sul Campo nelle diverse fasi della sua occupazione. Oggi del Campo originale sono rimasti i muri delle baracche dei prigionieri e la posizione delle strutture superstiti. Una delle baracche è stata completamente ristrutturata ed è sede di una mostra permanente che ricostruisce la storia del Campo e la vita al suo interno.
Un’ulteriore occasione per riflettere sull’Olocausto è la visita al Museo Monumento al Deportato di Carpi, a pochi chilometri da Fossoli. La ferrovia per il Brennero e l’Austria passa proprio da Carpi, e da questa stazione partivano i convogli carichi di prigionieri verso il nord. Il Museo, inaugurato nel 1973, è unico nel suo genere. Un museo da “leggere” e “meditare”, dove sulle pareti sono incisi brani delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea (Einaudi, Torino, 1954), in un’atmosfera di luci ed elementi grafici di grande suggestione, tra cui spiccano vari graffiti con opere di Longoni, Picasso, Guttuso, Cagli e Léger. I reperti custoditi nelle teche – pochi, per la verità – raccontano la vita dei deportati. L’ultima sala è la più toccante: sul soffitto e sulle sue pareti sono raccolti i nomi dei 15.000 italiani prigionieri dei lager.
Nelle stesse zone non mancano anche le testimonianze dei giusti, che negli anni della guerra si adoperarono per strappare uomini e donne dalla deportazione. Una della storie più note è quella dei “ragazzi di Villa Emma”, a cui la RAI ha dedicato una miniserie televisiva. Villa Emma è una grande villa di campagna situata alla periferia di Nonantola, sempre nel modenese. Nel 1942 vennero ospitati in questa villa una cinquantina di ragazze e ragazzi ebrei provenienti dall’est europeo, sottratti alla deportazione grazie all’impegno di don Arrigo Beccari, di don Ennio Tardini e del medico Giuseppe Moreali. Dopo l’armistizio e con l’occupazione nazista, i ragazzi furono prima nascosti presso famiglie locali e nel Seminario, poi trasferiti in Svizzera clandestinamente. Dopo anni di abbandono, Villa Emma è oggi proprietà privata ed è stata riportata all’antico splendore.
Testo e foto di Devis Bellucci RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM