USA | Non fare l’indiano!



Un viaggio nelle riserve dei nativi americani del Sud Dakota. Luoghi da conoscere e avvicinare con rispetto per comprendere una storia che ha profondamente segnato questa terra.

Quello che chiediamo da voi e dal mondo è solo rispetto. Che voi ci vediate come esseri umani, noi vi vediamo come esseri umani. Siamo tutti esseri umani. Chase Iron Eyes

Anche se l’ho immaginato tante volte non avevo idea di cosa avrei visto una volta in America, oltrepassando il confine delle riserve indiane. Nel corso della vita il mio immaginario sui nativi è stato scolpito dalle immagini dei film, le vecchie storie dei tempi che furono, le foto color seppia. Poi mi sono chiesta, ma oggi chi sono i nativi? Quali sono le storie che raccontano oggi ai loro figli? Il mio compagno e io ci siamo voluti documentare e un libro tra tutti ci ha mostrato la direzione, Vite di Riserva di Sandro Onofri, un amico, purtroppo, mai conosciuto. E il viaggio così ha inizio. Atterriamo a Minneapolis nello stato del Minnesota dove noleggiamo la macchina. Percorriamo i chilometri che ci separano dalla meta con un po’ di agitazione, con la paura di non riuscire a raccontare niente perché niente ci sarebbe stato da raccontare. Lungo il tragitto il poco traffico è costituito da grandi pickup e camion, qua e là piccoli centri agricoli spacciati sulla cartina come agglomerati abitativi interrompono la monotonia della strada. In uno di questi, Ipswich, davanti alla biblioteca si trova la Medicine o Prayer Rock, una roccia sacra con scolpite impronte di mani su cui nativi posavano le proprie per pregare. A Mobridge decidiamo di fermarci per la notte. Poco più in là, separati dal fiume Missouri e dal cambio del fuso orario si trova la riserva di Standing Rock.

L’indomani partiamo presto e finalmente entriamo nella riserva dove il paesaggio inspiegabilmente si trasforma sotto ai nostri occhi. I campi coltivati a mais e grano lasciano il posto alla steppa, ad arbusti bassi e ramosi e a curiosi cani della prateria che di cane hanno ben poco, più simili, in effetti, a delle marmotte. Come prima tappa visitiamo il monumento a Sitting Bull con l’effige del grande condottiero che scruta il grande fiume Missouri davanti a lui. Sotto, sul basamento, sono deposte le tante offerte e doni che i nativi lasciano per onorarne la memoria. Intorno la sage, la salvia sacra, profuma l’aria. Un posto straordinariamente suggestivo dove il tempo sembra sospeso nel sussurro del vento. Prendiamo la strada per Fort Yates, sede dell’Amministrazione della riserva Standing Rock, una delle riserve appartenenti alla Great Sioux Reservation. Là ci aspettano LaDonna Allard, responsabile del Dipartimento del Turismo e Betty Archambault, maestra e membro di rilievo della comunità. Prima di iniziare con la nostra intervista, Betty propone di iniziare con un canto tradizionale lakota come augurio di buon auspicio. Sebbene il canto provenisse da due singole voci, l’eccezionale musicalità delle due donne ha pervaso tutta la stanza e ci ha fatto davvero commuovere.

Fin da subito è stato chiaro che se ti poni scevro da ipocrisie queste persone sono capaci di aprire le porte del loro cuore – e del loro mondo – e così è stato per noi. A Cannon Ball, uno dei distretti della riserva, Dave Archambault, oggi presidente dell’Amministrazione, ci mostra il suo allevamento di cavalli. La cultura del cavallo, ci spiega, è strettamente legata alla cultura lakota. Con passione e impegno sta cercando di reintegrare il Curly, razza equina dal manto grigio e riccio. Dave ci spiega che la presenza di questo tipo cavallo veniva già documentata sulle grandi pelli dipinte dei loro antenati, da cui l’importanza di preservarne la specie. Proseguiamo il viaggio verso la parte meridionale del Sud Dakota, prossima tappa la riserva di Pine Ridge. Attraversiamo letteralmente tutto lo stato percorrendo infinite strade che tagliano in due le distese erbose dai morbidi colori autunnali. Improvvisamente, lungo la SS 73, il flusso della prateria si interrompe bruscamente: siamo nelle Badlands. Qui il terreno argilloso, graffiato dall’erosione dell’acqua, prende un aspetto fragile e tormentato in una continua metamorfosi geologica. Le linee di stratificazione sono visibili dall’alternanza dei colori che vanno dal grigio al rosa delle conchiglie fossili. Esattamente come la terra davanti ai tuoi occhi, qui si percepisce la grande fugacità della vita, ti disorienta ma ti affascina per la sua rude bellezza.

Pine Ridge è forse la più conosciuta tra le riserve indiane, forse per la presenza al suo interno del sito del massacro di Wounded Knee nel 1890, dove 300 tra donne, anziani e bambini trovarono la morte trucidati dal settimo reggimento cavalleggeri con i cannoni-mitragliatrici Hotchkiss. Ma è anche il luogo simbolo della ripresa della coscienza e dell’orgoglio nativo, con l’occupazione del sito da parte dell’AIM nel 1973. Da allora non è mai terminato il lungo processo di riappropriazione culturale, della religione, della tradizione, della lingua, dell’identità di un popolo coraggioso e fiero. Prima di ripartire abbiamo la fantastica opportunità di assistere ad un magnifico Pow-wow. Definirla solo una danza in costume è assolutamente riduttivo: è un evento sociale che può durare anche molti giorni ed è il momento in cui i popoli lakota, dakota e nakota, si ritrovano per sistemare questioni sociali, riunioni di famiglia e riconnettere i rapporti intertribali. Una festa coloratissima, piena di gioia, di canti che fanno sognare, di balli briosi e di indian taco, piatto tipico di questi appuntamenti costituito da pane fritto e condimenti di vario tipo.

Durante il viaggio di ritorno scorrono nella nostra mente i volti di tutti coloro che sono diventati nostri amici e ripensiamo a quello che abbiamo avuto la fortuna di vivere: un viaggio che riporta all’essenza dell’uomo, al rispetto e all’amore, all’amore incondizionato di un popolo verso tutto ciò che li circonda. Le grandi praterie e la natura selvaggia ineluttabilmente ti portano a svestirti di tutto il superfluo della nostra cultura del consumo, la dimensione dell’essere umano viene ridefinita dall’immensità di questi spazi fino a mettere in discussione la nostra vana presunzione che il mondo giri solo intorno alla nostra, piccola, esistenza.

Testo e foto di Fabio Cappelli e Mariangela Iannotta RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM

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