[Letti per viaggiare] Perché il Sud è rimasto indietro

Viaggiare non significa solo vedere, ma spesso anche capire. Essenziale allora questo saggio del professor Emanuele Felice che ci trasporta spazialmente – dall’Italia Centrale fino ai margini della Sicilia –, e temporalmente dai Borboni ma anche da molto prima fino ai nostri giorni, in un percorso grazie a Dio chiarificatorio sugli aspetti del nostro Meridione. Con analisi spietate ma rigorose, non lasciando niente al romanzesco o all’ideologico, Felice apparecchia tutti i dati storico-scientifici attualmente a disposizione, pro e contro ogni tesi, fino a far emergere la palese correttezza delle sue conclusioni. Perché il Sud è rimasto indietro non è solo un titolo, ma è l’angoscia ancestrale di noi italiani su un mistero apparentemente così inestricabile da doverne abbandonare la comprensione. Ed è ancora di più: è la bandiera ancora oggi di mistificazioni e populismi dettati meno dalla buona fede che da precisi interessi.

A fronte, appunto, di recenti successi editoriali (per esempio, Pino Aprile) e cinematografici (per esempio, Claudio Bisio) miranti a dipingere realtà inesistenti sulla scia di ideologismi deformanti, qui, al contrario, si confutano a una a una le suddette pseudo-teorie assolutorie e buoniste, indicando con precisione chirurgica i colpevoli veri e le vere vittime del “disastro Sud”. Direttamente colpevole, senza alcuna attenuante, risulta essere quella cultura borbonica meridionale che ben prima dell’Unità ha sistematicamente attuato nel Regno delle Due Sicilie lo smantellamento costante e metodico di ogni possibilità di progresso civile, sociale, politico, economico, umano. Privi di una borghesia moderna, le classi dominanti borboniche e i loro epigoni successivi hanno individuato come unica chance della propria sopravvivenza lo sfruttamento dei popoli meridionali, passando attraverso l’esiziale economia latifondista, la guerra all’alfabetizzazione, la disgregazione famigliare (nei latifondi i maschi lavoravano lontano da casa), il sabotaggio di ogni progresso industriale (risibile oltre ogni immaginazione l’obiezione della realizzazione della ferrovia Napoli-Portici…), e il terrore banditesco. Tale strategia di sfruttamento da allora fino a oggi non ha più smesso di compiere catastrofi.

Vere vittime, quindi, rimangono da secoli le classi subalterne del Sud, non martiri di inesistenti colonialismi del Nord post-unitario, ma esclusivamente dei propri governanti dai tempi dei baroni borbonici in poi. E fa solo piacere che questo saggio pacato quanto acuto sia oggi maledetto su internet dagli attuali gruppi neoborbonici (ebbene sì, esistono ancora gruppi neoborbonici al Sud, tanto per non farsi mancare nulla), che pur ammettendo di non averlo letto lo condannano al rogo per esaltare, invece, altri best-seller carichi di cialtronate piagnucolanti e nostalgiche di un passato sempre crudele per questi territori; il fatto che si esorti a non leggere questo libro è prova ulteriore della loro atavica propensione oscurantista: che i popoli meridionali non sappiano mai la verità, che non gli si faccia mai capire quali siano i loro veri aguzzini. Pur ricco di dati scientifici e statistiche, riferimenti tecnici e analisi comparate, il testo è godibilissimo anche per non addetti ai lavori, conducendo il lettore in un viaggio molto preciso e affascinante nella terra che già Benedetto Croce ebbe a definire un paradiso popolato da diavoli. Questo bel libro è soprattutto un omaggio proprio al Sud, alle sue persone serie, perché riconoscano da dove hanno origine i mali della regione, ma anche a tutti gli italiani, politici compresi, per combattere quella cultura che da secoli è rovina per tutti.

Perché il Sud è rimasto indietro | Emanuele Felice |Il Mulino collana Contemporanea – 2014 | pp. 264 | euro 16,00

Testo di Andrea B. Nardi

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