Il monastero di Rila custodisce l’anima della Bulgaria

Il monaco apre il portone e dà il benvenuto, poi indica l’acqua. Oltre la chiesa, dall’altra parte della corte, c’è una fontana che butta in un catino di bronzo. Appeso a una catenella, un mestolo. Tutti ne bevono. “Sarete stanchi” dice il monaco. Perché chi viene al monastero di Rila arriva comunque da lontano, anche se non ha fatto tanta strada. Ad esempio, i due pastori che ci precedono. Prima di proseguire col gregge, devono pregare le reliquie. Almeno così mi pare di capire. Il gregge è parcheggiato fuori, un po’ più indietro nella via che dal paese porta solo qui. Ce ne accorgeremo al rientro, attraversandolo in l’auto badati dai cani, con le pecore che si scansano di malavoglia.

Nonostante i visitatori, il monastero bianco in mezzo alle montagne resta fra i luoghi del “Grande Silenzio”, dove negli anni più oscuri della storia nazionale si sono preservati l’identità e lo spirito bulgaro. Venne fondato nel X secolo da San Giovanni di Rila (in bulgaro Ivan Rilski), che dopo aver vissuto da eremita prima in una grotta poi, pare, nel cavo di un’antica quercia, si ritirò per alcuni anni su una roccia sotto la quale adesso sorge il complesso monastico. Siamo a 1147 m di altitudine all’interno del massiccio montano di Rila, a 120 km dalla capitale Sofia, in un’area selvaggia di grande bellezza. Dopo la fondazione, il monastero venne via via ampliato fino a essere distrutto una prima volta nel 1378 a seguito dell’invasione ottomana. Ricostruito, diventò simbolo e baluardo della cultura bulgara durante la dominazione straniera. Fu distrutto una seconda volta nell’800 per un incendio e ancora ricostruito nella forma attuale, che con le sue mura e le feritoie ricorda una fortezza. Negli anni ’80 il monastero è stato inserito dall’Unesco fra i patrimoni dell’umanità.

La chiesa, che domina la corte centrale, è affrescata all’esterno da vivaci dipinti (diverse centinaia) a soggetto biblico. L’alternarsi delle dicromie (bianco e nero; bianco e rosso) che decora gli archi del chiostro su tre piani e le pareti del monastero, unito alle sue cupole e al profilo delle montagne rende l’insieme armonioso e al contempo astratto, un invito alla preghiera e alla meditazione. Accanto alla chiesa, una massiccia torre è ciò che resta del monastero medioevale, e spicca come parte dell’insieme senza disomogeneità. La sola visita agli interni della chiesa vale il viaggio. Avuto il permesso dal monaco di guardia, che con un colpo d’occhio approverà o meno il vostro abbigliamento (spalle coperte e niente calzoncini corti. Diversamente, inutile discutere), ci si immerge in una penombra carica di incenso.

Pareti e volte sono un fiorire di ori e affreschi con ritratti di santi, fedeli donatori e storie apocrife sulla Madonna. L’opera di maggior pregio è l’iconostasi – ossia la parete che separa lo spazio dedicato alla liturgia da quello dedicato ai fedeli – decorata con icone che rappresentano scene bibliche. I fedeli sfilano proprio accanto all’iconostasi per avvicinarsi alle reliquie e molti sono i pellegrini bulgari. Anche papa Giovanni Paolo II si recò pellegrino sulla tomba di San Giovanni di Rila. Oggi il santo bulgaro, per volontà dello stesso papa, è raffigurato nello splendido mosaico della Cappella Redemptoris Mater in Vaticano. La sua figura, idealmente, lega il cammino di santità delle Chiese d’Oriente e d’Occidente.

Testo di Devis Bellucci | Foto web

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