Racconto semiserio dell’avventura in houseboat di un famoso giornalista lungo le vie d’acqua di una terra di celebri vini. Deliziosi villaggi, superbi monumenti, gastronomia indimenticabile e tanta allegria.
All’arrembaggio!
Ancora adesso, a crociera finita, non so esattamente chi c’era su quel battello che ha percorso i canali della Borgogna assieme a me. Chi era l’equipaggio e chi ero io: perché certe avventure, anche se vissute in età decisamente adulta, un po’ somigliano al sogno e inseguono nascoste fantasie. Ci sentiamo «Capitani coraggiosi», alla Kipling, quando ci presentiamo a Joigny, porto di imbarco su un arrabbiato fiume Yonne che si agita molto prima di affogare nella Senna. Acque limacciose che impongono la partenza protetta dalla prima chiusa del canale di Borgogna, a Migennes. Percorso obbligato per troppa acqua sotto, nel fiume, e sopra, con il maltempo diffuso in tutto il nord Europa. Niente canale di Nivernais, come sperato, e una diversa strategia d’assalto al territorio per far preda di vini e formaggi, da bravi «Pirati della Malesia», alla Emilio Salgari, che è la nostra seconda identità segreta. Ovviamente la quotidianità a bordo di quattro marinai una volta e per caso, offre da subito spunto per una meno epica lettura comica, modello «Tre uomini in barca (per non parlare del cane)» di Jerome K. Jerome. Anche noi siamo in quattro, senza Montmorency, il cane del romanzo.
Una barca da fumetto
Partiamo subito dal mezzo navigante della nostra umida avventura: «Sept-fons», battello di 10 metri con un nome di battesimo che a tradurlo diventa complicato. Nascerebbe dalla birra trappista dell’abazia di Sept-fons, in Alvernia, inventata attorno al 1890 da Don Sébastien, l’abate che decide di aprire un’industria per recuperare l’antica abbazia nata nel 1132 e ormai cadente. Ma a noi interessa l’imbarcazione. Tecnicamente una “Penichette 1020”. Di fatto, la deliziosa barca di Topolino disegnata da Walt Disney. Poppa e prua equamente incinte e adeguatamente panciute, il ponte di comando coperto con quadrato-mensa e quello scoperto in plancia, per il sole che per ora non c’è. Cabine con bagni-doccia incorporati per una coppia a prora e una a prua. Tutto carino, tutto razionale e un po’ spartano, come si conviene i marinai.
In barca non c’è il freno
Prima regola marinara: a bordo non si bestemmia. Nel senso che il linguaggio deve essere acconcio. Il “davanti” chiamasi prua o prora, il “dietro” è la poppa. Il fianco sinistro (guardando avanti) è il babordo e il fianco opposto è il tribordo. Infine, per farla semplice, la ruota che serve a dirigere l’imbarcazione non è il volante, ma il timone. Altro dettaglio utile, date le ripetute manovre di attracco per i passaggi delle chiuse, i cavi con cui leghi la barca a terra non si chiamano corde e nemmeno gomene (enormi cavi delle navi) o sagole (piccole corde per tirare la gomena), ma sono le cime. E ora altre due o tre informazioni inutili (che tanto uno deve sbatterci in naso da solo), ma che danno la statura del marinaio a chi racconta. Le imbarcazioni non hanno il freno. Vale e dire che se stai andando a sbattere puoi solo far girare l’elica in senso contrario e sperare di fermarti in tempo. “Macchine indietro tutta”, come senti ordinare dal comandante alla sala macchine nei vecchi film di guerra. Stando attenti che a poppa ci sono timone ed elica da proteggere. Sempre sulla ruota del timone, i suoi movimenti sono lenti come l’incedere della barca stessa, non sterzi, ma viri. Ritmo diesel verso babordo o tribordo e lentamente l’imbarcazione accosta. Se giri con impazienza quel timone da un lato all’altro, il tuo procedere sarà uno splendido zigzagare.
Salita o discesa
Intanto bisogna spiegare cosa vuol dire esattamente navigare lungo dei canali artificiali. Il mare si muove per venti e maree. Il fiume scorre dalle alture dove si forma alla sua confluenza in basso. Il canale no, è immobile. Lungo un canale ti muovi sempre in piano. Ma nello stesso tempo sali o scendi seguendo l’andamento del terreno. Ed ecco spiegate le chiuse. Migliaia di enormi vasche da bagno artificiali dentro cui chiudi i battelli, una porta davanti e una dietro, riempi o svuoti l’acqua e fai salire o scendere l’imbarcazione a navigare sul nuovo livello del canale che hai di fronte. Migliaia di chiuse lungo le migliaia di chilometri di canali navigabili che attraversano tutta la Francia. Le autostrade del passato che hanno fatto ricca quella terra. Oggi un intelligente riciclaggio al diporto turistico che salva antiche opere di ingegneria idraulica e occupazione. E noi, improvvidi turisti all’avventura, viviamo la nostra vacanza da pirati della Malesia. Con le chiuse che impongono alcune regole e discrete fatiche. Io, di facile imprecazione genovese, sul ponte a prua, bello o cattivo tempo che sia, col mezzo marinaio in mano (una sorta di rampino) ad aiutare l’entrata stretta nella vasca; il comandante al timone pronto all’Indietro Tutta per non fare lo Schettino di Borgogna; l’equipaggio con le cime da lanciare all’addetto alla chiusa per l’ormeggio. 15 chiuse al giorno è buona ginnastica.
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