Gent, quadro fiammingo


Ribelli e temerari per natura, gli abitanti di Gent entrarono nel mito e nella leggenda per la loro personalità orgogliosa e irruenta, al punto da far dire, in seguito, a Napoleone: ” Non m’inchino né davanti a Dio, né davanti ai potenti, ma lo faccio dinanzi agli abitanti di Gent, il cui spirito di insubordinazione ha influenzato a più riprese il corso della storia europea”.  Così indomabili e irriducibili da indurre Carlo V, nato in questa stessa città, a umiliare i suoi concittadini rivoltosi con una punizione esemplare, obbligandoli a sfilare per le vie del centro con un cappio al collo, come ancora oggi si ricorda nella sfilata storica che si celebra ogni 23 luglio.

Tornando alla nostra storia, alla fine del tredicesimo secolo la situazione era diventata esplosiva. Quella che venne definita l’epopea del tessuto di Gent,  si concluse nel 1302 con la battaglia degli speroni d’oro, che segnò la sconfitta dell’armata di Filippo il Bello e la fine dell’oligarchia dei mercanti di Fiandra. Ma, per ironia della sorte, un evento inaspettato spense bruscamente la gioia dei rivoluzionari lavoratori.  Nel pieno dei festeggiamenti, da Bruges giunse la notizia che il prezzo della lana, oramai soppiantata dalla canapa indiana, era improvvisamente crollato.  Era la fine del panno di Gent e di un’intera economia.

E fu ancora la Leie ad essere determinante per il futuro della città. I terreni lungo le sue sponde, fino ad allora utilizzati come pascoli per le pecore, risultarono perfetti per la coltivazione del lino e le sue acque  prive di calcare e ricche di ferro, si rivelarono impareggiabili nel processo della macerazione, per ottenere un filato di qualità insuperabile.  Il vento del Nord ora accarezzava distese di  fiori azzurri sulle  campagne che poco prima risuonavano di belati e dei rudi versi dei pastori. Il lavoro ferveva  nei campi e nelle filande lungo le rive del fiume.


Gent tornava a vivere e prosperare e di nuovo tesseva l’arazzo della sua storia. Dal lino non nacquero soltanto magnifici tessuti, pizzi e merletti, un altro tesoro era racchiuso nei semi di quell’umile pianta:  un olio prezioso che, mescolato a pigmenti colorati, rivoluzionò l’arte della pittura. Nuova tecnica, nuovo stile  e la possibilità di dipingere su tela.  Ora, sulle banchine della Leie, tra le balle di stoffe di lino, i sacchi di grano e le altre mercanzie, si caricavano  anche tele dipinte a olio di una bellezza e finezza mai viste prima. Abbandonate le scomode tavole di legno, le opere dei Maestri fiamminghi, ben arrotolate,  potevano viaggiare di mercato in mercato, di porto in porto, diffondendo  la straordinaria scoperta.

Nella Cattedrale di San Bavone (Sint Baafs), in una piccola cappella, il Polittico dell’Agnello mistico di Jan e Hubert Van Ejck, splende ancora oggi in tutta la sua smagliante e complessa bellezza. Davanti a questo capolavoro è possibile comprendere appieno la potenza espressiva del nuovo modo di dipingere, di cui i fratelli Van Ejck furono i precursori. E’ un viaggio interiore che dona occhi nuovi, capaci di guardare i minimi dettagli, nelle figure grandi come in quelle più piccole, in una luce limpida che rivela e trasfigura, avvolgendo l’osservatore nello stesso universale mistero.

Ed è con questo magico super sguardo che di nuovo usciamo fuori a contemplare lo stupefacente skyline della città dall’alto del Ponte di San Michele. Ora gli ultimi raggi di sole generano nuove meraviglie.  Uno spettacolo cangiante di bagliori d’acqua, architetture  cesellate come gioielli, barche, torri, guglie, campanili.  Sulle vecchie banchine i giovani studenti universitari rendono omaggio alla fine della giornata. Come aiuole colorate costellano il bordo del fiume color topazio. Mangiano, ridono, chiacchierano, si baciano, mentre l’aria fresca della sera sfiora l’acqua in un brivido di scintille di luce.

I vetri colorati delle antiche Case delle Corporazioni, incendiati dal tramonto, si riflettono sulle persone sedute ai tavolini dei bar all’aperto, creando policromie fantastiche. Normalità resa preziosa, cose comuni trasformate in gioielli. La densa birra belga dentro i bicchieri luccica come ambra e i volti delle persone si accendono di sprazzi di colore profondo.

Poi la Leie spegne ogni riverbero dorato e prende il colore dei fiori del lino. Muta la tavolozza nell’avanzare della sera. La luce diventa turchina, fredda e tagliente e Gent appare diversa, austera e misteriosa, Nella piazza davanti alla Cattedrale le carrozze scaricano gli ultimi turisti e si avviano verso casa. I cavalli nitriscono, stanchi,  mentre  lungo il Limburg i tram scivolano, agili e filanti. Le chiese di Sint Michiels e Sint Niklaas sembrano rinserrarsi nella loro mole grigia e severa e il Gravensteen (il Castello dei Conti di Fiandra) è un frammento di Medioevo che galleggia sospeso tra acqua color lama di spada e un cielo che, dopo i fuochi del tramonto, è cenere pallida.

La fiera, nobile, ribelle, operosa Gent aggiunge un giorno  di pace alla sua turbolenta storia. Un altro filo al suo arazzo. Un altro punto al suo merletto. Un’altra pennellata alla sua tela fiamminga.


Testo e foto di Giuliana e Antonio  Corradetti © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA

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