Se hai i documenti già pronti con te, il Rio Bravo è da quella parte. Passi il ponte dei due mondi e sei nos Estados Unitos.
Il ponte non si chiama così, ma il vero nome non mi interessa. Di sicuro è meno bello. E io, se non fossi entrato nos Estados Unitos via terra, da Ciudad Juárez, non avrei attraversato il Nuovo Messico da sud per arrivare in Arizona, prendendo la US25 e da qui la 40, ma sarei passato da est a ovest in fretta, fermandomi giusto ad Albuquerque se proprio. In fondo, il Nuovo Messico dice poco a tutti noi, schiacciato com’è da fratelli maggiori quali lo Utah, la California e appunto l’Arizona, custodi di mitiche destinazioni. Ne sanno qualcosa in più i cacciatori di alieni – Roswell, la cittadina della presunta navicella precipitata nel ’47 è proprio qui – e i letterati amanti dei cow-boy: la “Trilogia della frontiera” di Cormac McCarthy è ambientata fra queste stoppe giallastre dove l’asfalto brilla e intrappola pezzi di cielo. Attraversando la terra dei cow-boy da sud a nord si incontra quasi subito la prima di due meraviglie inaspettate, che uno si ferma e dice:”Guarda un po’, non ci fossi passato per caso…”. Il Parco Nazionale delle Sabbie Bianche (White Sands National Monument) è un’ampia area coperta da dune di gesso, che in foto hanno l’aspetto di un nevaio calato nel deserto. La luce si spacca e si ricompone sui cristalli, e le dune diventano azzurre e viola, furenti a mezzogiorno quando bruciano negli occhi, quasi musicali la notte, sotto la luna, mentre si spostano col vento che cambia direzione.
Il White Sands è anche una rarità geologica, visto che il gesso è solubile in acqua e normalmente se ne andrebbe con le piogge verso il mare. Il fatto è che la distesa bianca riempie una vasta depressione, il bacino di Tularosa, circondato dalle montagne; durante le piogge l’acqua non può defluire ed evapora senza portare via il gesso. È possibile esplorare la zona in auto per diversi chilometri ed esiste anche un bel sentiero per inoltrarsi fra le dune. L’incanto avviene al tramonto, quando il grosso dei visitatori ha lasciato il parco e nel silenzio i colori si muovono sulla sabbia con la magia di un’aurora boreale. Procedendo in auto verso nord-ovest, prima di sbucare in Arizona, si passa accanto a El Morro, un promontorio roccioso che domina la pianura, visibile da lontano. L’area fa parte dell’El Morro National Monument e possiamo immaginare la gioia vissuta dai pionieri ad intravederne la sagoma, durante il loro viaggio verso il occidente. Alla base della roccia era ed è tuttora presente una pozza d’acqua, poco invitante per la verità, ma che in passato ha garantito alle carovane rifornimento e salvezza. Sulla sommità del Morro è possibile visitare le rovine di un antico insediamento dove si stima vivessero 1500 persone tra il XIII e il XIV secolo, abbarbicate in posizione strategica.
Di questi uomini e di queste donne non restano solo le fondamenta delle abitazioni, ma anche i graffiti lasciati sulla roccia. A questi si aggiungono le centinaia di parole, date e firme scritte dai viaggiatori sulla parete accanto alla famosa pozza d’acqua, che gli Indiani Zuni chiamavano “A’ts’ina” (il luogo delle iscrizioni sulla roccia) e gli Americani “Inscription Rock” (più o meno lo stesso significato). Il Parco Nazionale che circonda il Morro è nato anche per proteggere queste testimonianze, molte delle quali tradiscono amarezza e disperazione. I nomi, per lo più, non dicono nulla a nessuno: Don Feliz Martinez, Ramon Garcia Jurado (1709), un certo capitano R. H. Orton (1866) o il “Pasó por Aqui” (“Passò per di qua”) dello spagnolo Don Juan de Oñate, datata al 1605. Ci sono parecchi soldati, gente in cerca di fortuna, preti, vagabondi. I loro segni cristallizzati sono lezioni di storia da ricostruire. Oggi non è più permesso scrivere sulla parete, dunque nessuno di noi aggiungerà il proprio nome. La strada verso il mare è ben nota. Ci si ferma un poco a immaginare le carovane attorno al fuoco e la gente che si butta in acqua. Di notte, quando il parco è chiuso, molti animali vengono a bere. Sarebbe bello nascondersi e aspettare e spiarli.
Testo e foto di Devis Bellucci RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM
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